sabato 18 luglio 2020

OSHO: LA MORTE? PER CHI LA VIVE IN CONSAPEVOLEZZA NON ESISTE


Mirabili, significative, e fondamentali per chiunque, le disquisizioni sulla realtà (o l'illusione) della morte, quelle di Osho in La voce del mistero. Le rileggo spesso e ogni volta cerco di farle sempre più mie. E vorrei provare qui a farle anche vostre. Eccovene una (ricca) selezione.

La consapevolezza della morte… Se un uomo riesce a morire in stato di consapevolezza, per lui la morte non esiste più. In altre parole, se un uomo riesce a restare consapevole nell'istante della morte, scopre di non morire affatto; la morte gli si manifesta come illusione. Tuttavia che la morte si riveli un'illusione non vuol dire che resti davvero un'illusione. Piuttosto, quando una persona muore in stato di totale consapevolezza, scopre che la morte non esiste affatto. A quel punto si rivela semplicemente una menzogna.
Ma per te è naturale chiedere: «Chi si illude?». Hai ragione nel dire che non può essere il corpo, perché come può il corpo illudersi? Né può essere l'anima, perché l'anima non muore mai. Allora, chi si illude? Naturalmente, non è né il corpo né l'anima. In realtà, non è mai l'individuo che prova l'illusione della morte; l'illusione della morte è un fenomeno sociale. Questo va capito con precisione.
Quando vedi morire un uomo, pensi che sia morto. Ma poiché tu non sei morto, non hai il diritto di crederlo. È molto stupido da parte tua concludere che sia morto. Tutto ciò che dovrei dire è: «Non posso determinare se sia la stessa persona, nella stessa forma, che conoscevo prima». Dire qualcosa di più è pericoloso, è valicare i limiti del lecito.
Si dovrebbe dire solo questo: «Fino a ieri quell'uomo parlava, adesso non parla più; prima camminava, adesso non cammina più. Quella che fino a ieri ritenevo essere vita non esiste più; la vita che ha vissuto fino a ieri è scomparsa. Se c'è una vita dopo la vita, che la viva; altrimenti, sia ciò che deve essere». Ma dire: «È morto» è spingersi troppo in là, è andare oltre i limiti. Ci si dovrebbe limitare a dire: «Non è più vivo». La vita che gli si riconosceva, ora non c'è più.
Questa affermazione negativa è corretta: ciò che noi sapevamo essere la sua vita – le sue lotte, i suoi amori, il suo mangiare, il suo bere – non esiste più, mentre dire che è morto è fare un'affermazione troppo positiva.
… Noi che non siamo morti, che non abbiamo conoscenza della morte, ci raduniamo intorno a quella persona e sentenziamo che è morta. La folla determina la morte di un individuo senza nemmeno chiederglielo, senza nemmeno ascoltarlo come testimone!… Segui quello che sto dicendo? La morte è un'illusione sociale.  Non è l'illusione di quell'uomo: la sua illusione è di tipo completamente diverso.
La sua illusione non è di morire. La sua illusione è questa: come può aspettarsi di restare consapevole nell'istante della morte, dopo aver vissuto tutta la vita nell'incoscienza?
… Pensi che chi non è in grado di scorgere la vita nemmeno nel suo stato di veglia, sarà capace di vedere cos'è la morte? Di fatto, non appena la vita scivola dalle sue mani, in quell'istate si perderà in un sonno profondo. La realtà è che all'esterno noi abbiamo la sensazione che sia morto, ma questa è una decisione della società, ed è sbagliata. Qui il fenomeno della morte viene determinato da chi non è qualificato per farlo. Nessuno, nella folla, è un buon testimone, perché nessuno ha visto davvero morire quell'uomo. Nessuno ha mai visto morire una persona! L'atto del morire non è mai stato testimoniato da nessuno.
… Una persona che ha sempre pensato che la propria vita consistesse nel mangiare, bere, dormire, andare in giro, litigare, amare, stringere amicizie e creare inimicizie, nell'istante della morte scopre all'improvviso che questa vita le sta scivolando dalle mani. Ciò che aveva compreso come vita non era affatto tale. Non erano altro che azioni, visibili alla luce della vita.
… Per cui quell'uomo pensa di morire, che la vita è persa per sempre. Ha visto morire in precedenza altra gente, e l'illusione sociale che l'essere umano muoia si è fissata nella sua mente.
…Si vede circondato dai suoi cari, dalla famiglia e dai parenti che piangono amaramente… Adesso è certo della sua morte; l'illusione sociale di stare morendo si radica nella sua mente. Gli amici e i parenti intorno a lui cominciano a formare un incantesimo ipnotico.
… Questo è ipnotismo sociale. L'uomo adesso è completamente persuaso di stare morendo, di andarsene. Questa ipnosi di morte lo renderà inconsapevole, spaventato, terrorizzato; si ritirerà e la sua sensazione sarà: «Sto per morire, sto per morire. Cosa devo fare?». Travolto dalla paura chiuderà gli occhi, e in quello stato di angoscia diventerà incosciente.
… Se hai mai avuto un'esperienza di meditazione, se hai mai intuito di essere separato dal corpo, se la sensazione di esserne distinto è scesa in profondità dentro di te, anche solo per un attimo, quando la morte arriverà non sarai inconsapevole. Di fatto, a quel punto, la tua inconsapevolezza si sarà già spezzata. Sarai in grado di morire consapevolmente.
Essere in grado di morire consapevolmente è una contraddizione in termini. Nessuno muore consapevolmente, coscientemente, perché per tutto il tempo resta consapevole che non sta morendo; qualcosa sta cessando, ma non lui. Continua a osservare la propria separazione dal corpo, e alla fine scopre che esso giace lontano da lui. Allora la morte si rivela non essere altro che una separazione, la rottura di un legame. È come se io uscissi da questa casa e i suoi abitanti, ignari del mondo esterno, venissero alla porta e mi dessero un addio in lacrime, pensando che l'uomo che sono venuti a salutare debba morire.
… Quindi, per chi muore consapevolmente, la morte non esiste; per una persona simile il problema della morte non si pone.
… La verità è che una persona meditativa, che abbia fatto qualche progresso nella meditazione, per molto tempo non capisce di essere morta. Vede la gente intorno a sé e si chiede perché stia piangendo. I preparativi per cremare il suo corpo, o per seppellirlo, servono solo a ricordare che non è più vivo, che non è più la stessa persona.
Questo è il motivo per cui, nel nostro paese, bruciamo tutti i corpi eccetto quelli dei sannyasin. L'unico motivo è che, se il cadavere fosse preservato, lo spirito potrebbe continuare a vagarvi intorno per molti mesi, pensando che non sia morto e cercando di rientrarvi. Conservare il corpo vuol dire creare un piccolo ostacolo per il suo nuovo viaggio. Lo spirito vagherebbe inutilmente; per questo si usa cremare immediatamente i corpi, in modo che, nel luogo della cremazione, lo spirito possa vedere che tutto è finito, che quello che pensava essere il suo corpo non esiste più. Lo spirito comprende di non avere più alcun legame con il corpo, che il ponte è rotto.
… Solo i corpi dei sannyasin non vengono ma cremati, perché un sannyasin sa già di non essere il corpo. Quindi non c'è problema nel conservare il corpo di un sannyasin in una tomba.
…  È possibile morire in stato di consapevolezza solo se sei vissuto in stato di consapevolezza. Se hai imparato come vivere consciamente, certamente riuscirai a morire consciamente, perché morire è un fenomeno della vita, accade nella vita. In altre parole, la morte è l'evento finale di quella che tu credi essere la vita.
… Di solito, vediamo la morte come qualcosa di esterno alla vita, come una sorta di fenomeno opposto a essa. No, in realtà la morte è l'ultimo di una serie di eventi che accadono nella vita. È come un albero che porta i suoi frutti. Prima il frutto è verde, poi comincia a diventare giallo e lo diventa sempre di più fino a quando, infine, è completamente giallo e cade dall'albero.
… La caduta del frutto dall'albero non è un evento a parte; al contrario, è il culmine dell'ingiallimento, della maturazione attraverso cui è passato. E cosa stava accadendo quando il frutto era verde? Si stava preparando a quello stesso fenomeno finale. E lo stesso processo avveniva quando non era ancora fiorito sul ramo, ma era nascosto al suo interno. Anche in quello stato si stava preparando all'evento finale. E che dire di quando l'albero non si era ancora manifestato, ma era racchiuso nel seme? Era in corso la stessa preparazione. E di quando questo seme non si era ancora formato, ma era celato all'interno di un altro albero? Era in atto lo stesso processo.
Quindi l'evento della morte è parte di una catena che appartiene allo stesso fenomeno. L'evento finale non è un termine, ma solo un distacco. Una relazione, un ordine, viene sostituito da un'altra relazione, da un altro ordine.
Nirvana vuol dire essere consapevoli che ciò che definiamo come morte non è affatto una morte, e che quella che definiamo vita non è realmente una vita… Nirvana indica la comprensione assoluta di queste due realtà.
Se tu sai solo che la morte non esiste, continuerai a rinascere. La vita, in un certo senso, andrà avanti, e tu avrai conosciuto solo la metà della verità. Il desiderio di vivere ancora, di avere un altro corpo, di rinascere un'altra volta, sopravviverà. Il giorno in cui arriverai a conoscere l'altra metà della verità, il giorno in cui conoscerai la verità nella sua interezza, vale a dire che la vita non è vita, e la morte non è morte, quel giorno avrai raggiunto il punto di non ritorno. Allora il problema di ritornare non si porrà.
… Il tuo ultimo pensiero in punto di morte è la quintessenza di un'intera vita di settanta, ottant'anni; diventerà il tuo potenziale per la prossima vita, sarà l'eredità che ti porterai appresso nella prossima nascita. Lo puoi chiamare karma, desiderio, samsara, condizionamento o come vuoi: non fa differenza. Meglio sarebbe definirlo un programma incorporato nella tua vita, applicabile nel futuro.
… Nel momento della morte si salva ciò che è importante e si abbandona ciò che è superfluo; quello che non ha valore verrà meno, mentre quello che ha significato verrà impacchettato in un fagotto che ti porterai appresso: diventerà immediatamente la base del tuo viaggio, il tuo programma incorporato. Adesso ti avvierai in un nuovo viaggio, e la tua nascita futura avverrà conformemente a questo programma. Sarà un nuovo viaggio, un nuovo corpo, una nuova sistemazione. E ciò si verifica con assoluta scientificità.
Pertanto, nirvana vuol dire che una persona è arrivata a conoscere che la morte non è veramente morte, né la vita è vita. Una volta comprese entrambe le cose, non resta più alcun programma incorporato. La persona è libera dai programmi, dall'essenziale e dall'inessenziale: è pronta ad andare da sola, come il volo solitario di un uccello. Si lascia alle spalle ogni cosa: i soldi e il tempio. Si libera tanto dei debiti che deve agli altri quanto di quelli che gli altri hanno verso di lei. Si astiene sia dalle buone azioni sia da quelle cattive. In realtà, si astiene da tutto.
… Kabir dice: «Ho indossato il mio mantello con grande amore e l'ho messo da parte così come l'ho trovato, senza sciuparlo affatto». In una situazione del genere non può esservi alcun programma prestabilito per il futuro, perché la persona lascia tutto allo stato verginale: non sceglierà né salverà nulla, ma trascenderà ogni cosa. Senza nutrire un solo desiderio per alcunché, abbandonerà tutto ciò che ha guadagnato in vita. Ecco perché Kabir dice: «O cigno, alzati per il tuo volo solitario». Adesso il cigno, la sua anima, sta partendo da solo, senza nessuno, né amici né nemici, né buone né cattive azioni, né scritture né dottrine: nulla.

mercoledì 15 luglio 2020

È NELL'AURA IL NOSTRO BLUETHOOTH INTERNO



Anche noi abbiamo un bluetooth “incorporato” che fa di noi esseri in grado di porsi in contatto con le realtà esterne.  Ce lo spiegano molto bene Manuela Pompas e Carlo Biagi nel loro libro Aura, la luce dell'anima - Manuale di autoguarigione, Sperling & Kupfer Edizioni. Ecco che cosa hanno scritto:

L'aura indica contemporaneamente sia l'intero campo energetico che avvolge e compenetra il fisico, cioè l'insieme dei corpi sottili, sia l'alone emanato dai singoli involucri. Essa esprime il concetto di forze o campi energetici ed è un'interazione tra l'energia cosmica e quella individuale, o ancora tra individuo e individuo. In questo caso noi trasmettiamo o riceviamo una serie di informazioni per mezzo della nostra aura o di quella di chi avviciniamo; questo è ciò che avviene per esempio quando si prova compassione, empatia o transfert fisico (cioè il sentire le stesse emozioni o lo stesso dolore di chi ci sta di fronte), fenomeni in cui si recepisce lo stato emozionale del prossimo. Più si sviluppa la sensibilità e più facilmente si assorbono le energie del prossimo, che permangono nell'aura finché non si scaricano spontaneamente o grazie a tecniche apposite (quali una doccia o una passeggiata in mezzo alla natura, la pulizia con esercizi di visualizzazione e di meditazione, o con un magnete): questo meccanismo di scambio di energie spiega sia il fenomeno di possessione sia perché quando si entra in un ospedale o si vive accanto a una persona malata o depressa ci si sente spossati, privati (sarebbe più giusto dire «vampirizzati») della propria energia.
D'altronde non possiamo dimenticare che tutto è energia: sia la materia, che a noi appare solida e fissa per un'illusione ottica, sia le emozioni, i sentimenti, i pensieri. Possiamo allora renderci conto che l'umanità è immersa in un oceano di energia, che permette l'interazione tra individuo e individuo. Quest'immagine ci porta addirittura a un altro concetto, secondo il quale noi siamo in realtà cellule di un intero organismo vivente, l'universo, che secondo la visione orientale non è  altro che il corpo di Dio.
…  Ogni essere umano è circondato da questo alone di luce, che è la manifestazione dell'energia vitale, percepibile come quella più ampia connessa al magnetismo terrestre: se non siamo capaci di vederla o di captarla è solo perché siamo stati abituati a percepire solo l'aspetto materiale delle cose e ci siamo dimenticati che il nostro essere è in grado di percepire anche altri livelli di realtà, che appartengono sia al piano fisico sia alle dimensioni dell'anima.
… Vedere l'aura senza l'ausilio di strumenti significa percepire una corporea con i propri occhi, come avviene nell'esperienza del veggente o in quella del mistico. Oppure vi è la strada del Reiki o del Therapeutic Touch, due discipline che insegnano a sentire l'aura con le mani.
… Per vedere i corpi sottili è necessario attivare la chiaroveggenza legata soprattutto all'Ajna chakra, comunemente chiamato «terzo occhio».

sabato 11 luglio 2020

SANTA SOFIA DI NUOVO MOSCHEA. MOSSA SBAGLIATA DI ERDOGAN


Il “sultanino” Recep Tayyip Erdogan sta cercando di mettere insieme il suo immaginario puzzle di impossibile e irrealizzabile ricostruzione dell'Impero Ottomano. Ha creato le condizioni perché il Consiglio di Stato turco annullasse il decreto del 24 Novembre 1934 dell'allora illuminato (quello sì!) presidente Mustafa Kemal Atatürk (ovvero “padre dei Turchi”, non a caso) che trasformava la moschea Santa Sofia di İstanbul in un museo. E adesso che ha ottenuto il suo scopo si è precipitato a firmare il relativo decreto, annunciando che nella Basilica la prima preghiera islamica dopo 86 anni avverrà il prossimo 24 Luglio. La riconversione in moschea del monumento simbolo di İstanbul è “un diritto sovrano” della Turchia, ha affermato nel suo discorso alla Nazione. Che, in gran parte è d'accordo con il “sultanino”, tanto da affermare che la Basilica non avrebbe mai dovute essere trasformata in museo (dimenticando in fretta e furia tutto il saggio processo di laicizzazione operato da quello che invece, fino a pochi anni fa, era venerato come il “padre dei Turchi”). Ma tant'è. Il mito dell'uomo forte è duro a morire, in qualunque parte del mondo, non solo in Italia!
Con questa mossa di islamizzazione globale della Turchia (in spregio alle minoranze religiose come quella ortodossa soprattutto, o come quella di religione ebraica, ai tempi dei veri sultani ben accolte sul suolo turco e in particolare a İstanbul), Erdogan ha suscitato l'irritazione non solo dell'Europa, ma anche dell'Unesco, organizzazione che aveva decretato Santa Sofia patrimonio dell'umanità.
Ma il “sultanino” vuol fare sempre la voce grossa, creandosi così nemici ovunque nel mondo, perfino, come sappiamo, tra gli storici alleati Stati Uniti d'America. E si dimostra così molto meno lungimirante di Atatürk, che già all'inizio del secolo aveva forse un obiettivo più importante e intelligente che la ricostituzione dell'antico e anacronistico Impero Ottomano: quello di un'integrazione all'interno della comunità degli Stati Europei per promuovere un'effettiva modernizzazione della sua Nazione, all'epoca molto arretrata. Così, invece, Erdogan ha messo un altro tassello alla probabilissima, anzi inevitabile, esclusione della Turchia dall'Unione europea.
Forse sarà anche vero che, come dice lui stesso, non ci saranno più biglietti da pagare per l'ingresso ai turisti “come in tutte le altre moschee” ma, adesso che Santa Sofia sta per essere posta sotto l'amministrazione della Diyanet, l'autorità statale per gli affari religiosi che gestisce tutte le moschee della Turchia, bisognerà vedere quanti turisti potranno, e soprattutto vorranno, continuare ad ammirare di persona la splendida architettura e i meravigliosi mosaici bizantini che Santa Sofia conserva al suo interno. Erdogan sta allontanando a passi da gigante la Turchia dall'Occidente. E tanti turisti europei andranno verso altre mete dove non vige un superato e sterile ideologismo religioso. Ma se lui è felice così…
La Basilica di Santa Sofia, che porta splendidamente i suoi quasi 1500 anni di età, fu la chiesa più importante del mondo bizantino, in realtà dedicata non a una santa, ma a un concetto astratto, quello della Divina Sapienza (Haghìa Sophìa). Il primo edificio fu costruito per volere dall'imperatore Costantino I, secondo la tradizione, e dedicato a Gesù Cristo il Salvatore. Fu distrutto da un incendio e al suo posto venne edificata una nuova chiesa per volere di Teodosio II, che la inaugurò nel 415, ma che fu a sua volta distrutta da un nuovo incendio durante la rivolta di Nika contro l'imperatore Giustiniano I, nel 532. Per volere di Giustiniano e di sua moglie, l'imperatrice bizantina Teodora, la Basilica venne ricostruita sulle sue ceneri molto più grande e maestosa delle precedenti, e inaugurata il 26 Dicembre del 537. Per eseguire la ricostruzione, furono chiamati a lavorare ben 10 mila operai e 100 capomastri. Per rivestire le pareti e le colonne, affrontando spese ingentissime Giustiniano fece giungere da varie province dell'impero cumuli d'oro e una grande varietà di marmi: il bianco da Marmara, il nero dalla regione del Bosforo, il verde dall'isola di Eubea, il rosa dalle cave di Synnada e il giallo dall'Egitto. Inoltre fece recuperare colonne ellenistiche e ornamenti dai templi di Diana a Efeso, Atene e Delfi, e di Osiride in Egitto.
Il lavoro fu affidato a due architetti greci: Isidoro di Mileto, all'epoca a capo dell'Accademia platonica di Atene, e il matematico e fisico Antemio di Tralle. I princìpi di costruzione sui quali i due basarono gli studi di preparazione all'opera erano ispirati al Pantheon di Roma e all'arte paleocristiana.
La navata centrale è di 70 m per lato, mentre la cupola centrale, con i suoi 30 m di diametro e i 56 m di altezza, risulta una delle più ampie al mondo. Sulla circonferenza, le 40 finestre ad arco formano una corona di luce che sembrano farla galleggiare sopra la Basilica.
Santa Sofia fu trasformata in moschea per volere di Mehmet II durante la presa della città di Costantinopoli da parte degli Ottomani nel 1453. I conquistatori musulmani coprirono i mosaici murali e le loro splendide icone con un intonaco di calce, costruirono i quattro minareti ai rispettivi lati, e comunque affascinati dalla maestosità dell'edificio si servirono, poi, del suo modello di architettura come fonte di ispirazione per la moschee che vennero costruite in seguito.
Ben visibili all'interno sono i quattro grandi pannelli rotondi in pelle di cammello appesi nell'Ottocento, opera del calligrafo Kazasker İzzed Effendi, che in lettere d'oro riportano i nomi del primi quattro califfi (Abu Bakr, Umar, Uthman e Ali) e che si aggiungono ai medaglioni dedicati ad Allah, al profeta Maometto e sui suoi due nipoti: Hassan e Hussein.
Nel 1934, appunto, Mustafa Kemal Atatürk  la trasformò in un museo. Fece togliere dal pavimento i tappeti che nascondevano gli splendidi mosaici marmorei, e l'intonaco bianco che impediva la vista dei grandiosi mosaici murali bizantini. Che adesso verranno in qualche modo di nuovo nascosti, perché l'islam vieta qualunque forma di iconografia sacra. Ma non è grave: moltissimi turisti d'ora in poi si accontenteranno di ammirarli mediante le fotografie scattate in tutti questi anni, senza scomodarsi per volare fino a İstanbul. E comunque continueranno a considerarla per sempre una Basilica cristiana, nonostante gli antichi sultani e il nuovo “sultanino”. Che non sono riusciti e non riusciranno mai a costruire una meraviglia come questa.


sabato 18 aprile 2020

IL VIRUS È SFUGGITO DA UN LABORATORIO? HA ATTECCHITO PER COLPA DEL CLIMA?



Troppe reticenze, troppi atteggiamenti ambigui da parte della Cina sul Coronavirus. Da quando ha cercato di tenere nascosto l'insorgere dell'epidemia e messo alla berlina il medico che avvertiva sulla sua pericolosità (e per questo poi si è suicidato!), fino all'ultimo atto, quello di riconoscere il doppio di decessi a Wuhan, "non per nascondere la situazione, ma per errori di calcoli statistici". Paradossale veramente. Qualche dubbio, allora, può nascere sulla veridicità o meno che riguarda il cosiddetto complottismo, che addita a un laboratorio cinese (guarda caso di Wuhan!) la colpa di aver creato un virus poi sfuggito al controllo, e che da lì ha invaso il mondo. Non a caso c'è chi avanza l'ipotesi di voler chiedere i danni alla Cina per il disastro umano ed economico che avrebbe causato.
In questo dibattito, ecco l'ultimo atto: una dichiarazione del professor Luc Montagnier, lo scopritore del virus Hiv, che ha riattizzato la discussione. La scienza si schiera contro questa ipotesi “complottista”. La potenza cinese (politica ed economica) fa paura? Ci sono interessi più o meno sommersi da difendere? Difficile scoprirlo. Ecco comunque in proposito un articolo dell'Huffington Post su cui riflettere.

Un “lavoro da apprendisti stregoni”, un errore umano mentre si cercava il vaccino contro l’Hiv, sarebbe stato alla base della diffusione del Coronavirus nel mondo. È la tesi - da più parti avversata - di Luc Montagnier, che nel 1983 scoprì il virus dell’Hiv.
Il professore, premio Nobel per la Medicina nel 2008, non è il solo ad alludere a questa possibilità. Prima della sua uscita pubblica, altri avevano avanzato il dubbio che il Coronavirus non fosse passato dal pipistrello all’uomo - come sostengono moltissimi scienziati - ma fosse sfuggito da un laboratorio. Nulla di volontario, dunque, nessuna arma biologica - e su questo concordano praticamente tutti gli esperti - ma un catastrofico errore.
Non ci sono prove che garantiscano una qualche certezza alla teoria della svista in laboratorio, è bene precisarlo. E sono tanti gli scienziati, anche in Italia, che si sentono di scartare questa ipotesi. Ma il dibattito sulla vera origine del virus va avanti, e si arricchisce ogni giorno di nuove opinioni. Non solo di addetti ai lavori. Ieri Mike Pompeo aveva ricordato la vicinanza tra l’istituto di Virologia di Wuhan e il wet market.
Pochi giorni fa il Washington Post ha pubblicato un articolo con cui si puntavano i riflettori su un laboratorio di Wuhan, città da cui è partita la pandemia che il mondo si trova oggi ad affrontare. Due anni prima che scoppiasse la pandemia da coronavirus, diplomatici dell’ambasciata americana a Pechino visitarono diverse volte l’istituto di virologia di Wuhan (Wiv) e rimasero così preoccupati da mandare in Usa due messaggi in cui sottolineavano le inadeguate condizioni di sicurezza del laboratorio, che conduceva rischiose ricerche sui pipistrelli. Queste informative, spiega il quotidiano, negli ultimi due mesi hanno alimentato discussioni nel governo americano. Oltreoceano ci si chiede, per l’appunto, se questo o un altro laboratorio a Wuhan possa essere la fonte del Covid-19.
L’autore dell’articolo del Wp scrive che un alto dirigente dell’amministrazione Usa gli ha detto che queste informative forniscono un ulteriore elemento di prova della possibilità che la pandemia sia frutto di un incidente. E sostiene che la versione di Pechino che il virus è emerso dal wet market di Wuhan è debole. A questo proposito fa riferimento alle ricerche di esperti cinesi pubblicate su Lancet, secondo cui il primo paziente noto di Coronavirus, identificato il primo dicembre, non aveva legami con il mercato e neppure oltre un terzo dei contagiati nel primo grande cluster. Ma se il Wp avanza degli interrogativi sul mercato di Wuhan, Montagnier arriva a parlare di “bella leggenda”. E si augura che la Cina ammetta quelli che lui definisce “errori”.
La tesi del premio Nobel per la Medicina 2008: “Virus manipolato, forse per un vaccino contro l’Hiv. È sfuggito in laboratorio”.
Non il wet market, ma un laboratorio sarebbe stato il teatro dove è iniziata la tragedia, nell’ultimo trimestre del 2019. Luc Montagnier lo ha sostenuto ai microfoni di Pourquoi Docteur. Il professore spiega di aver fatto uno studio sul tema e di non essere stato il solo a raggiungere queste conclusioni: “Con il mio collega, il biomatematico Jean-Claude Perez, abbiamo analizzato attentamente la descrizione del genoma di questo virus Rna. Non siamo stati primi, un gruppo di ricercatori indiani ha cercato di pubblicare uno studio che mostra il genoma completo di questo virus che ha all’interno delle sequenze di un altro virus, quello dell’Aids. Il gruppo indiano ha ritrattato dopo la pubblicazione. Ma la verità scientifica emerge sempre. La sequenza dell’Aids è stata inserita nel genoma del Coronavirus per tentare di fare il vaccino”.
Gli elementi alterati del virus andranno via man mano che si diffonderà, spiega ancora Montaigner: “La natura non accetta alcuna manipolazione molecolare, eliminerà questi cambiamenti innaturali e anche se non si fa nulla, le cose miglioreranno, ma purtroppo dopo molti morti”. Ci sarebbe addirittura una soluzione: “Con l’aiuto di onde interferenti, potremmo eliminare queste sequenze e di conseguenza fermare la pandemia. Ma ci vorrebbero molti mezzi a disposizione”.
E ancora: “Quindi la storia del mercato del pesce è una bella leggenda ma non è possibile che sia solo un virus che si è trasmesso da un pipistrello, probabilmente è questo che hanno modificato. Forse volevano fare un vaccino contro l’Aids utilizzando un Coronavirus come vettore di antigeni. Un lavoro da apprendisti stregoni si può dire. Perchè non bisogna dimenticare che siamo nel mondo della natura, ci sono degli equilibri da rispettare. La natura elimina la sequenza del genoma del Coronavirus”.
A chi gli chiede se non si tratti di complottismo risponde: “No, il complottista è quello che nasconde la verità. Credo però che in questo caso è il governo di Pechino che ha nascosto le cose. Ma la verità pero viene fuori come ho detto. Ma ‘Errare humanum est’, e non è il caso di fare accuse ora né di aprire inchieste. La Cina è un grande Paese e spero che sia in grado di riconoscere un errore”, ha concluso.
La replica degli scienziati: “Non ha senso”, “Mi pare fantasiosa”, “Nessuna prova”.
Immediata la reazione degli altri scienziati alle parole di Montagnier. Sul riferimento agli elementi estranei al virus Etienne Simon-Lorière, dell’Istituto Pasteur di Parigi dice: “Non ha senso. Sono dei piccoli elementi che si trovano in altri virus della stessa famiglia. È aberrante”. Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, più che a Montagnier risponde a Mike Pompeo: “Il virus non cambia, è stabile e non ci sono prove che sia stato creato in laboratorio. Se Pompeo ha altri dati scientifici, se li faccia pubblicare e chieda all’epidemiologo Anthony Fauci di farseli validare”. Anche il vertice dell’Iss, Silvio Brusaferro, ha ricordato che non ci sono evidenze sul fatto che il virus sia uscito accidentalmente da un laboratorio. “Da un po’ di tempo Montagnier è un po’ fantasioso nell’ipotesi scientifica. In ogni caso non abbiamo evidenze” che avvalorino la tesi, ha spiegato Gianni Rezza, direttore Malattie infettive dell’Iss.
La figura di Montagnier, negli ultimi anni, è diventata controversa. 35 premi Nobel, nel 2012, ne hanno chiesto la rimozione da direttore del Circb di Yaoundé con una lettera scritta da Richard Roberts, biologo molecolare premio Nobel, che si dimise in polemica dal consiglio scientifico. Nel documento si accusava Montagnier di aver abbracciato teorie lontane dalla ricerca scientifica. Il premio Nobel si è avvicinato anche ai novax, sostenendo la più volte smentita correlazione con l’autismo.
Dall’Università Federico II di Napoli arriva intanto lo studio “Clima Wuhan come quello della Lombardia. Virus si diffonde di più a certe temperature”, che mette in correlazione clima e diffusione del virus. La stagione invernale 2020 nella regione di Wuhan è stata molto simile a quella delle province del Nord Italia di Milano, Brescia e Bergamo, dove la pandemia, tra febbraio e marzo, è stata devastante. Ciò fa ipotizzare che il contagio sia più forte in presenza di temperature comprese tra i 4 C e gli 11 °C. È una delle conclusioni che emergono dallo studio su condizioni meteo e COVID-19 del professor Nicola Scafetta del Dipartimento di Scienze della terra, dell’ambiente e delle risorse dell’Università Federico II di Napoli, dove si individua una correlazione tra la diffusione del COVID-19 a livello mondiale e le condizioni meteo.
Sono state prodotte specifiche cartine del mondo isotermiche, allo scopo di localizzare, mese per mese, le regioni del mondo con variazioni di temperatura simili tra loro. Da gennaio a marzo, la zona isotermica che va principalmente dalla Cina Centrale verso l’Iran, la Turchia, il bacino mediterraneo occidentale (Italia, Spagna e Francia), fino agli Stati Uniti d’America, coincide con le regioni geografiche più colpite dalla pandemia nello stesso arco di tempo.
Le previsioni dicono che in primavera, quando il clima diventerà caldo, la pandemia probabilmente peggiorerà nelle zone settentrionali (Regno Unito, Germania, Europa Orientale, Russia e Nord America), mentre migliorerà radicalmente nelle zone meridionali (Italia e Spagna). In ogni caso, in autunno, la pandemia potrebbe ritornare a colpire nuovamente le stesse zone.
La Zona Tropicale e l’intero Emisfero Meridionale, tranne le zone più estreme, potrebbero scampare a una forte pandemia a causa del clima sufficientemente caldo durante l’intero anno.
Gli stessi motivi meteorologici possono spiegare il perché l’Italia Meridionale, un po’ più calda, è stata meno colpita dell’Italia Settentrionale, che invece rientra nell’intervallo di temperatura meteorologica più critica.

domenica 12 aprile 2020

DOPO IL CORONAVIRUS UNA NUOVA SPIRITUALITÀ?



Riporto con piacere un articolo dal blog del giornalista e blogger Nicola Mirenzi pubblicato dal quotidiano Huffington Post. È un'intervista allo scrittore e teologo Vito Mancuso (nella foto), secondo il quale a causa del coronavirus stiamo già cambiando e una nuova spiritualità sta già nascendo. Ecco il testo: 

Dal punto di vista spirituale: “Questa può essere la più autentica di tutte le Pasque che abbiamo celebrato fin qui, anche se non potremo andare a messa, né uscire di casa”. La ragione, secondo Vito Mancuso, teologo e scrittore, è inscritta nella parola: “Pasqua è un termine di origine ebraica. Gli studi più accreditati concordano nel dire che significhi ‘saltare’, dal gesto che l’angelo del Signore compì quando – in Egitto – passò davanti alle case degli ebrei, segnate dal sangue dell’agnello: le saltò, risparmiando la vita ai loro primogeniti. Oggi, la passione che sta vivendo il mondo ci passa dentro, ci attraversa, ci segna a fondo. E segnandoci, ci insegna che la vita è un nodo che intreccia due funi: una che è fatta di piacere, gioia, felicità; l’altra di dolore, disperazione e malessere. È una dialettica che hanno ben chiara tutte le religioni del mondo, e tutte le grandi filosofie. Stavolta, però, il salto dobbiamo farlo noi, scegliendo quale di queste due parti che compongono la vita vogliamo privilegiare”.Autore di libri che sono riusciti a porre interrogativi religiosi al grande pubblico, Mancuso rifiuta molte delle metafore usate in queste settimane per descrivere la condizione in cui ci troviamo: “Non siamo né in guerra, né siamo rinchiusi in una cella come i detenuti”. Non nega che ci sono persone che si possono sentire prigioniere nello spazio angusto del proprio appartamento. Ritiene che anche così si può essere liberi: “La libertà non è uno stato definito: è un processo. Fino a poche settimane fa, potevamo fare quello che volevamo. Andare in giro, al cinema, a cena, a casa di amici. Eppure eravamo pieni di costrizioni, di imperativi, di cui nemmeno ci rendevamo conto”.

A cosa si riferisce?
Al fatto che gli esseri umani sono condizionati dal proprio corpo (è sano o malato?) dalla sociologia (sono ricchi o poveri?) dalla geografia (vengono dal nord o dal sud del pianeta?) e da tantissime altre cose. Anche prima di adesso, eravamo chiusi nella casa del nostro io, nella casa della nostra cultura, nella casa della nostra identità, nella casa delle nostre paure.

E allora?
E allora riconoscere che si è incatenati è la prima condizione per potersi liberare. Che cos’è l’esodo, di cui parla la Bibbia, se non questo lasciarsi alle spalle l’oppressione? Ecco il senso di questa Pasqua, che può unire sia i credenti, sia i non credenti: riconoscere le altre case dentro cui siamo chiusi, per poi scegliere se vogliamo rimanerci, oppure preferiamo uscire.

La scienza è una di queste case-prigione?
Se non ci fosse la scienza, non sapremmo nulla di questa malattia, né avremmo idea di come combatterla. Semmai, è l’idolo della scienza che ci tiene prigionieri, illudendoci di essere nelle condizioni di dominare tutte le forze della natura. Finanche, la morte.

Non è una negazione della morte anche l’idea della resurrezione, che oggi celebrano i cristiani
Il cristianesimo non ha le idee chiare sulla morte. C’è un filone, che risale a San Paolo, che considera la morte figlia del peccato, dunque l’ultima nemica da battere, prima del trionfo del Regno. E poi c’è un altro filone, più minoritario, che invece si richiama a San Francesco d’Assisi, che nel Cantico delle creature loda Dio per averci donato “sora nostra morte”. Una visione che la considera parte del ritmo della vita, non come qualcosa di estraneo, da negare. Questo è il modo in cui io guardo alla morte.

E gli italiani che pregano, in questo momento?
Le parole non mentono. Pregare viene dal verbo latino precari da cui anche l’aggettivo ‘precario’. Chi non ha problemi non prega. Chi prega, invece, sente il desiderio di trovare un senso, avere giustizia, essere accolto. Lo fa perché avverte che nel mondo questo senso viene umiliato, insultato, tradito. In questa condizione, ci troviamo oggi. E abbiamo davanti a noi una scelta: credere che questo senso di fragilità che vogliamo consolare sia futile e passeggero, oppure osservare che dentro di esso è racchiusa la possibilità di un altro mondo, dove si può trovare senso, giustizia, accoglienza.

Secondo lei in quale direzione andremo?
Non so se, come dicono alcuni, cambieranno le strutture sociali, economiche e politiche del mondo. Oppure, come dicono altri, tutto sarà come prima. Quello che credo è che una spiritualità nuova nascerà da questo momento drammatico. Anzi, ho l’impressione che stia già nascendo.

Da cosa lo intuisce?
Questa malattia attacca i polmoni, ricordandoci quanto dipendiamo dal respiro. In greco, in latino, in ebraico, in sanscrito, nella lingua indù, la parola spirito significa proprio respiro, aria che si muove, vento. La domanda è: perché tutte queste lingue, tra la tantissime parole che avevano a disposizione, sono andate a prendere proprio questa per nominare quella parte dell’essere umano che noi chiamiamo spirito?

Ha la risposta?
Suppongo che sia perché l’aria è la cosa più imprendibile che ci sia. Non si vede. Non si sa da dove viene. Né dove va. È imprevedibile e inclassificabile.

Cosa vuol dire questo?
Che la spiritualità non è andare in Chiesa: è qualcosa che riguarda tutti gli essere umani che vogliono essere liberi, cioè tutti quelli che si pongono il problema di gestire le raffiche di vento che hanno dentro. Non di eliminarle, né di rimuoverle. Perché è questo caos che ci distingue da tutti gli altri esseri viventi e ci rende uomini.

Non è stato spirituale chiedere di aprire le chiese per Pasqua?  
Non conosco nessuna grande religione del mondo che non dia grande importanza alle celebrazioni pubbliche. Come non ne conosco nessuna che non dia estrema importanza al raccoglimento. Quando doveva scegliere tra l’uno e l’altra, Gesù Cristo diceva: ‘Non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto’. 

Non mi ha risposto.
Quelli che hanno chiesto di aprire le chiese per guadagnare qualche punto nei sondaggi, fanno parte di quel genere di uomini che hanno sempre usato Dio per i loro traffici terreni. Ci sono sempre stati. Non hanno mai avuto niente a che fare con la spiritualità.

lunedì 23 marzo 2020

RISVEGLIAMO IL GUARITORE CHE È DENTRO DI NOI


Riporto qui un interessante articolo della Book Blogger Stefania Massari. Ci parla di un libro recentemente pubblicato nel quale si spiega, giustamente, come il funzionamento del nostro organismo non sia riconducibile solo a processi meccanicistici e che l'essere umano costituisca invece un armonico connubio di psiche, energia e corpo. Vale la pena considerare anche questo aspetto così determinante nelle guarigioni o nei fallimenti terapeutici cui assistiamo su larga scala in questo momento di estrema emergenza sanitaria che investe pressoché tutto il mondo. Ecco cosa scrive Stefania Massari: 

Spesso, dopo la diagnosi di una malattia grave o dopo un lutto, ci sentiamo svuotati, smarriti, incapaci di ridare un senso alla nostra vita. La cultura occidentale ci ha portati a credere che l’unica cura possibile sia quella operata dal medico attraverso la diagnosi prima e i medicinali poi, ignorando che l’essere umano sia formato anche da energia e che il corpo sia l’espressione di un sistema complesso che comprende emozioni e sentimenti che fanno a pugni con la razionalità che detta regole per mettere a tacere la nostra parte sensibile. In quest’ottica ogni evento traumatico che ci accade ha bisogno di sedimentare per poi farci ritrovare, col tempo, l’equilibrio che avevamo perduto e che inevitabilmente aveva sconvolto sia la nostra salute mentale che fisica.
A questo proposito, Maria Giovanna Luini, medico e scrittrice, impegnata presso l’Istituto Europeo di Oncologia da anni, molti dei quali a fianco di Umberto Veronesi nella lotta contro il tumore al seno, integrando il suo percorso medico con un approccio curativo che include contributi provenienti da altre culture, ha scritto un libro intitolato La via della cura - Ventitré passi per superare le prove della vita e ritrovare l’equilibrio, pubblicato da Mondadori. 
Lei, unendo alla medicina tradizionale rimedi scientifici, sciamanici, filosofici orientali e sudamericani, cerca di accompagnare i suoi pazienti verso la guarigione, facendo dell’ascolto, della comprensione e dell’empatia degli strumenti indispensabili per affrontare il percorso della malattia. Ed è proprio grazie al suo sguardo olistico, secondo cui l’essere umano è un armonico connubio di psiche, energia e corpo, che nel libro traccia un vademecum per chi, di fronte al dolore, è chiamato a intraprendere un percorso tortuoso che ha bisogno il più delle volte di un sostegno adeguato.
Questo percorso è piuttosto un viaggio interiore che richiede lo sviluppo di una risorsa spesso trascurata, l’ascolto, che ci dona la possibilità di guardarci dentro, di perdonarci e di raggiungere la piena consapevolezza delle proprie emozioni per superare i blocchi che si nutrono di paura e del timore di non farcela, diventando alla lunga nocivi. Tocca a noi dunque risvegliare il Guaritore che abbiamo dentro, la nostra voce guida, l’intuito per riuscire a trovare la nostra personale via della cura.
Per farlo possiamo anche stimolare la voce guida con degli esercizi pratici che la scrittrice propone e che possono aiutarci a ristabilire un contatto con la parte più profonda di noi stessi e farci ritrovare la calma e la serenità, soprattutto in questo periodo difficile che siamo costretti tutti ad affrontare. La via della cura ha in chiusura le testimonianze di rinascita di Maria Grazia Cangelli, Lia Dubini, Barbara Garlaschelli e di Faustin Chiragarula che ci donano un messaggio positivo e di speranza perché le parole hanno il potere di cambiare il nostro stato d’animo. Nel libro, infatti, ne sono citate tantissime: fare, dire, ascoltare, fermarsi, conoscersi, amare. Ognuna ha un suo preciso valore e può parlarci di noi, della nostra esperienza, di ciò che sentiamo.
Ecco perché dobbiamo prenderci del tempo per leggere questo libro, soffermandoci soprattutto su quelle pagine che sentiamo più affini al nostro sentire e aspettare che passi la tempesta per ritornare a vedere quel sole che avevamo perduto da troppo tempo.

martedì 17 marzo 2020

SMOG E POLVERI SOTTILI HANNO ACCELERATO LA DIFFUSIONE DEL VIRUS


Anche l'inquinamento atmosferico che affligge in particolare modo la pianura padana potrebbe aver dato un contributo alla diffusione del Coronavirus Sars Cov2. Una solida letteratura scientifica descrive il ruolo del particolato atmosferico quale efficace carrier, ovvero vettore di trasporto e diffusione per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. Il particolato atmosferico, oltre ad essere un carrier, costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell'aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell'ordine di ore o giorni.
Il gruppo di ricercatori coinvolti nella ricerca ha esaminato i dati pubblicati sui siti delle Agenzie regionali per la protezione ambientale relativi a tutte le centraline di rilevamento attive sul territorio nazionale, registrando il numero di episodi di superamento dei limiti di legge (50 microg/m3 di concentrazione media giornaliera) nelle province italiane.
Parallelamente, sono stati analizzati i casi di contagio da Covid-19 riportati sul sito della Protezione Civile. Si è evidenziata una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nei periodo 10-29 Febbraio e il numero di casi infetti aggiornati al 3 marzo (considerando un ritardo temporale intermedio relativo al periodo 10-29 febbraio di 14 giorni, approssimativamente pari al tempo di incubazione del virus fino alla identificazione dell'infezione contratta). In pianura padana si sono osservate le curve di espansione dell'infezione che hanno mostrato accelerazioni anomale, in evidente coincidenza, a distanza di due settimane, con le più elevate concentrazioni di particolato atmosferico, che hanno esercitato un'azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell'epidemia.
“Le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di Febbraio nella pianura padana hanno prodotto un boost, un'accelerazione alla diffusione del Covid-19. L'effetto è più evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai”, afferma Leonardo Setti dell'Università di Bologna. Come conferma Gianluigi de Gennaro, dell'Università di Bari: “Le polveri stanno veicolando il virus. Fanno da carrier. Più ce ne sono, più si creano autostrade per i contagi. Non resta perciò che ridurre al minimo le emissioni e sperare in una meteorologia favorevole”.
Alessandro Miani, presidente della SIMA, Società italiana di Medicina ambientale, aggiunge: “L'impatto dell'uomo sull'ambiente sta producendo ricadute sanitarie a tutti i livelli. Questa dura prova che stiamo affrontando a livello globale deve essere di monito per una futura rinascita in chiave realmente sostenibile, per il bene dell'umanità e del pianeta. In attesa del consolidarsi di evidenze a favore dell'ipotesi presentata, in ogni caso la concentrazione di polveri sottili potrebbe essere considerata un possibile indicatore o 'marker' indiretto della virulenza dell'epidemia da Covid-19.

IL VIRUS SI INDEBOLIRÀ E DIVENTERÀ MENO CONTAGIOSO


Guida una squadra di ricercatori concentrata sullo studio del Coronavirus: Elisa Vincenzi, capo della ricerca scientifica dell'Ospedale San Raffaele di Milano, in un'intervista al quotidiano italiano La Stampa spiega che “il virus si indebolirà col passare del tempo per sopravvivere e diventerà meno contagioso: ha questa intelligenza”,  afferma. E fa la sua “previsione” sui contagi: “Si tratta di una situazione complessa e ancora in evoluzione, ma le cose dovranno andare peggio prima di andare meglio e il caldo non è detto che aiuti”.
“Contro il Sars-CoV2, questo il nome scientifico del virus, vogliamo approfondire il ruolo dell'immunità innata, che è costituita da molte componenti sia cellulari sia del sangue e di altri tessuti e liquidi corporei, ed è la prima difesa dell'organismo contro i virus. Si tratta di un sistema che agisce rapidamente, a differenza dell'immunità specifica dei linfociti che per produrre anticorpi impiegano settimane. Il nostro progetto si concentra su alcune molecole dell'immunità innata, scoperte dal professor Mantovani, e considerate antenati degli anticorpi, che potrebbero prevenire l'infezione del Coronavirus”.
La scienza si sta focalizzando su farmaci già in uso nella pratica clinica come nella terapia dell'Hiv, che hanno dimostrato qualche efficacia contro il Coronavirus, oltre alla ricerca di un vaccino. Ma è difficile prevedere se e quando arriverà. Questo “perché il ruolo degli anticorpi nella protezione o nell'eliminazione del virus non è ancore ben noto”. Gli scienziati lavorano instancabilmente per conoscere meglio il Coronavirus.
“È stata risolta la struttura tridimensionale della proteina virale che lega il recettore specifico sulle cellule bersaglio dell'apparato respiratorio. Conoscendo questo legame si possono cercare le molecole, come gli anticorpi, che possono interferire all'entrata del virus nelle cellule”.
È escluso, comunque, il complottismo secondo cui si possa trattare di un prodotto da laboratorio sfuggito di mano. 
“Sì, perché non esiste niente di simile da cui partire. L'origine più probabile è una delle 1200 specie di pipistrello, quella a ferro di cavallo. Con un probabile ospite intermedio, che secondo il consorzio di ricerca Next strain, ha la stessa sequenza genetica del pangolino, un formichiere utilizzato dalla medicina cinese”.
Per sconfiggere il virus è bene seguire le regole, ma anche non farsi prendere dal panico.
“Oltre a seguire le regole bisogna ricordare che la paura è nemica della salute, perché genera stress e indebolisce il sistema immunitario. Sull'alimentazione le vitamine come la B12 o la D, che viene col sole, sono fondamentali. Una dieta varia e ricca di vitamina C aiuta. Vale la regola delle cinque porzioni di rutta o verdura al giorno”.
La Vincenzi ha elaborato la sua idea sulla curva dei contagi.
Alla base, “una sfortunata catena d'infezione iniziata da un asintomatico o con sintomi sottovalutati. Sono questi ultimi a preoccuparmi, perché continuano a trasmettere il virus”.
Dunque, bisognava quarantenare chi veniva dalla Cina da subito?
“Bloccare i voli diretti con la Cina non è bastato, anzi potrebbe aver aumentato le persone che hanno fatto scalo e sono arrivate in Italia senza controllo con un effetto boomerang”.

lunedì 16 marzo 2020

COSì LA GRANDE SICCITÀ CANCELLÒ GLI ASSIRI


Uno studio su Science Advances conferma: il crollo improvviso della civiltà assira fu innescato da un periodo di siccità eccezionale. Ecco che cosa ha scritto al riguardo Matteo Grittani, in un suo articolo pubblicato su La Repubblica Scienze.

Secoli di dominio spazzati via dalla siccità nel giro di pochi decenni. Circa 2700 anni fa l'Impero assiro dominava la Mezzaluna Fertile, arrivando a conquistare nel periodo di massima espansione la Siria, la Palestina e l'Egitto. Una società agricola, che pure seppe sviluppare scienze ed arti e sotto la guida di Re Assurbanipal fondò nella capitale Ninive una grande biblioteca, che per anni custodì il nucleo della tradizione numerica. Una supremazia esercitata a lungo ma che vide la fine in un lasso di tempo relativamente breve. Le cause di un crollo tanto repentino quanto violento sono da sempre motivo di dibattito tra gli storici, ma secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Science Advances, il cambiamento del clima avrebbe avuto un ruolo decisivo.

Nelle stalagmiti i segreti del clima
“La caduta dell'Impero assiro è considerata 'la madre di tutte le catastrofi' dagli studiosi della Mesopotamia – spiega Harvey Weiss, archeologo dell'Università di Yale, tra gli autori dello studio – ma molte domande pendevano ancora su cosa l'avesse scatenata”. D'altronde, guerre ed instabilità politica nella zona hanno reso difficili indagini archeologiche approfondite fino alla fine degli anni '80. “I dati paleoclimatici disponibili finora erano scarsi e imprecisi”, sottolinea Ashish Sinha, paleoclimatologo dell'Università della California e coordinatore dello studio. Sinha e il suo gruppo hanno studiato gli spelotemi rinvenuti nella grotta di Kuna Ba, 300 chilometri a sud-est dell'odierna Mosul, dove un tempo prosperava Ninive.
Le stalagmiti offrono infatti un 'database naturale' in grado di registrare con estrema accuratezza le fluttuazioni del clima. Esse, crescendo, fossilizzano nella loro struttura calcare i rapporti isotopi di ossigeno ed uranio presenti nell'acqua percolante. La variazione del rapporto degli isotopi dell'ossigeno è correlata all'intensità delle piogge, mentre l'uranio decade con tempi facilmente calcolabili, permettendo una precisa datazione. In questo modo, il team di scienziati ha ricostruito circa 4000 anni di storia climatica della regione con una precisione senza precedenti.

“La siccità fu il datore decisivo”
Confrontano i dati acquisiti con la documentazione archeologica, i ricercatori hanno trovato assoluta corrispondenza: ascesa ed apice dell'Impero assiro (tra il 920 ed il 730 a.C.9), coincisero con un periodo di 200 anni di precipitazioni sopra la media che resero fertile la terra e determinarono una forte crescita demografica. Allo stesso tempo, secondo quanto 'scritto' nelle stalagmiti, la caduta dell'Impero avvenuta tra il 660 ed il 600 a.C. fu contemporanea ad un lungo periodo siccitoso compreso tra il 675 ed il 600 a.C..
Certamente il crollo di un'intera civiltà non avviene mai a causa di un singolo evento. Dopo la morte di Assurbanipal infatti, vi fu una lunga serie di conflitti interni che indebolì l'Impero e culminò con la presa di Ninive nel 612 a.C. ad opera di Medi e Caldei. Ma la crisi partì dai campi: “Quella assira era una società agricola elementare, che dipendeva dalle precipitazione stagionali”, osserva Weiss. E prosegue, “più a sud i babilonesi già utilizzavano l'irrigazione, ecco perché la loro società non fu altrettanto colpita”.

Una lezione per l'oggi 
Oltre all'indubbia rilevanza storica, tutto ciò ha molto da insegnare anche alla nostra civiltà così lontana nel tempo, a cui tuttavia tocca affrontare una crisi climatica molto più grave.
“Questo studio offre un contesto storico ai preoccupanti scenari odierni”, avverte Colin Kelley, climatologo della Columbia University. Il passato ci mostra di cosa è capace la Natura ed avverte il presente. Come allora, negli ultimi cento anni il Medio Oriente ha subìto quattro gravi eventi siccitosi. “Questo sta avvenendo con sempre maggior frequenza ed intensità”, conclude Keley. Cosa cambia rispetto ad allora? A differenza degli Assiri, oggi ne conosciamo la causa:
le emissioni antropiche di gas serra. Fenomeno su cui ancora possiamo agire, qualora lo vorremo.

(Nella foto in alto, un bassorilievo assiro che raffigura la caccia ai leoni del re Assurbanipal)

domenica 8 marzo 2020

LA VITA E LA MORTE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS (E OLTRE)



Se c'è qualcosa di positivo innescato da questa improvvisa diffusione del Coronavirus (ribadisco, meglio non parlare dell'irrazionale panico che ha suscitato) è che ora si fanno tanti progetti per rivedere in Italia il Sistema sanitario nazionale, rimediando ai pericolosi tagli su tagli alle strutture e alle prestazioni che sono state perpetrati negli ultimi anni, ovviamente non tenendo conto dell'eventualità di un'emergenza come quella che si sta verificando in questi giorni. Altrettanti progetti (a parole) si fanno per una riorganizzazione del lavoro per renderlo più smart, cioè più flessibile perché fatto da casa, e della scuola, per creare similmente possibilità di fare lezione da remoto, con gli studenti piazzati davanti a un computer. Non mi meraviglia più di tanto il fatto che invece, nonostante la paura della morte che aleggia sul capo di migliaia e migliaia di persone, nessuno si sia azzardato a parlare dell'argomento. La paura c'è, ma è un tabù, si deve ignorare, non si deve affrontare, anzi possibilmente bisogna esorcizzarla, dicendo che con il coronavirus può interessare solo le persone molto anziane e con delle patologie concomitanti. Come a suggerire  un po' a tutti: coraggio, se siete ancora giovani o relativamente giovani potete sperare, tanto la morte può ancora tardare a venire. La morte come qualcosa scisso dalla vita, come qualcosa da rifuggire a ogni costo, da tenere assolutamente lontana dai nostri pensieri. Invece questa diffusione del virus, se davvero è così catastrofica, dovrebbe essere anche l'occasione per rivedere il nostro rapporto con questa realtà ineluttabile, ma così spaventosa. Tutti dobbiamo morire, prima o poi, vogliamo ammetterlo? E allora, intanto, dovremmo chiarirci che cosa rappresenta per noi la nostra morte: la fine dei nostri affetti? dei nostri progetti? dei nostri viaggi? dei nostri possessi? Tutte proiezioni, dopo tutto. Idee, fantasie. Non realtà. Perché la realtà è che, come diceva Epicuro, “quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte non ci siamo noi”. Certo, è un'impresa ciclopica creare in noi un distacco da tutto quello che la mente ci propone, da tutti i legami consci e inconsci che ci collegano alla vita d'ogni giorno. È il nostro mondo. Effimero, evanescente, in continua trasformazione, ma è il nostro mondo. E allora? Allora dovremmo davvero, nonostante tutto, cercare di non rimandare più in là la soluzione di questo problema-enigma della nostra vita, ma deciderci una volta per tutte ad affrontarlo, a calarcisi fino in fondo. Perché è là, all'orizzonte. Non potremo sfuggirgli. Analizzarlo potrebbe voler dire liberarcene e finalmente vivere senza questo incubo, più o meno sopito nella nostra mente. E in occasione del Coronavirus tornato prepotentemente alla luce della nostra coscienza.
Mi piace, a questo punto, riproporre un fondamentale brano di Osho, tratto dal suo libro (che io conservo come una reliquia perché pieno di spunti, non interessanti, ma molto, molto di più, dal titolo La danza della luce e delle ombre, Universale Economica Fetrinelli, sezione Oriente.


Come affronti la morte?
Io muoio ogni momento, non accumulo la morte; per cui non è un problema. Se vivi veramente, la morte non è affatto un problema: non hai bisogno di affrontarla, perché non esiste.
La morte è un problema creato artificialmente. Cerca di comprendere: se non permetti al tuo passato di morire, il passato continua ad accumularsi, diventa un peso, diventa un fardello. Se lasci morire il passato istante per istante, mentre il tempo scorre, se la fai finita immediatamente, rinasci ogni momento e non accumuli il peso morto del passato. Così facendo non accumuli la morte e quindi non c'è alcun problema da affrontare, nessun problema da risolvere; sei nuovo ogni momento, e sai che quella freschezza è eterna, è senza tempo. Anche quando arriverà la cosiddetta morte, non morirai: al momento della morte la vita diventa passato e tu non ti ci aggrappi. Nel corso della vita hai imparato una cosa: a non aggrapparti. Così, al momento della morte non ti aggrappi alla vita, e il problema non sussiste. Se ti aggrappi alla vita, avrai paura della morte; il problema nasce se ti aggrappi alla vita.
Perché ti aggrappi alla vita? Ti ci aggrappi perché non sai come viverla, non ti è mai stato insegnato a vivere la vita. Il danno che hai subìto è profondo, sei stato condizionato in modo tale che ora non sai vivere. Non vivi la vita, perciò nasce la paura. Non vivi mai niente con totalità. Non vivi totalmente, non piangi totalmente, non ridi totalmente, hai dimenticato il linguaggio della totalità. Non conosci più il significato della parola totalità: sei sempre parziale. Anche nell'amore non vai mai fino in fondo, non permetti all'amore di accadere totalmente; continui a opporgli resistenza.
Continui ad accumulare il passato, il che significa accumulare morte intorno a te. Quel passato congelato diventa sempre più pesante, perché cresce giorno dopo giorno. E la tua vita è molto delicata e vulnerabile, se le carichi addosso il peso morto di quel passato, la stronchi. E il passato non ti permetterà di vivere e nessun momento con totalità, ti frenerà sempre. Vorresti proseguire, invece ti trattiene, e anche se avanzi, non vai mai fino in fondo. È per questo che non provi appagamento in niente, non sei mai soddisfatto. Non hai mai amato, non hai mai riso. Certo, hai riso tante volte, ma la tua risata non è mai stata totale; è sempre stata parziale, incompleta.
Non sei ancora consapevole di cos'è la vita: non hai ancora danzato quella vita, non hai ancora cantato quella canzone. Quando vivi la vita nella sua totalità, momento per momento, non hai paura della morte, non hai paura di nulla. Hai vissuto la tua vita, hai goduto delle sue benedizioni, e ora ti senti grato; inizi a vedere la morte come un momento di riposo, nient'altro. La morte non riuscirà a portarti via nulla perché tutte le cose che potrebbe prenderti le hai già abbandonate prima del suo arrivo; non le hai mai accumulate. E la morte non distruggerà nulla perché sai come vivere ogni momento con totalità. Quando la morte arriverà, vivrai con totalità anche quel momento.


La morte fornisce un contesto, diventa lo sfondo, la lavagna sulla quale viene scritta la vita. Mentre sei vivo non riesci a sentire la vita così chiaramente, così nitidamente, con tanta sensibilità, ma al momento della morte, per via del contrasto, questo diventa possibile. È come vedere le stelle di notte. Più la notte è buia, più le stelle appaiono brillanti. Durante il giorno le stelle sono ancora lì, non sono andate da nessuna parte, non possono spostarsi; dove potrebbero mai andare? Sono ancora lì, ma a causa della luce del sole non riesci a vederle. La loro brillantezza si perde nella luce del sole. Di notte puoi vederle: belle, brillanti. La stessa cosa accade nella morte; la vita diventa una stella che brilla luminosa.

Mi chiedi: Come affronti la morte?
Io non so cosa sia la morte perché continuo a morire momento per momento, continuo a morire al mio passato attimo dopo attimo. Io non vivo nel passato, e dato che non vivo nel passato non vivo nemmeno nel futuro: il futuro è sempre una proiezione del passato. Un passato morto e sepolto crea un falso futuro; e soltanto questo momento è reale.
Io sono qui: assapora questo momento – dov'è il problema della morte? Come potresti morire in questo momento? La morte è sempre un problema di proiezione – un giorno morirai, è solo una deduzione –, un giorno accadrà. Qualcuno è morto oppure hai visto una persona morire, e ora hai paura pensando che un giorno accadrà anche a te. Ma hai veramente assistito a quella morte? No, ne hai semplicemente visto l'espressione esteriore; non hai visto cos'è successo all'interno di quella persona.
Nessuno è mai morto, la morte è la più grande menzogna; la morte non esiste, esiste soltanto la vita. La vita è eterna. Se abbandoni il passato, scompare anche il futuro, e nel presente non c'è la morte, nel presente c'è soltanto la vita.

Fa sì che questo momento sia il momento. Non vivere nel passato perché nessuno può veramente vivere nel passato, non esiste più. E non costruire il tuo palazzo nel futuro; non può essere fatto, il futuro non esiste. Vivi in questo momento.
Gesù dice ai suoi discepoli: “Guardate i gigli nei campi come sono belli. Persino re Salomone, in tutta la sua gloria, non era così splendido”. E qual è il segreto dei gigli nel campo? Vivono nel momento presente. Il giorno è oggi, la notte è stanotte; questo momento è tutto ciò che esiste.
Allorché inizi a vivere nel momento presente, sei costantemente in contatto con la vita. La vita ti rinnova, la vita ti ringiovanisce in ogni momento.
Sì, il corpo un giorno sparirà, ma quella non è morte – è semplicemente un corpo stanco che va a riposare. Certo, la mente si dissolverà, perché l'hai usata a lungo è si è logorata. Cosa vorresti? Vorresti forse usare la mente per sempre? Non ti sei già stufato della tua mente? Lavora dal giorno in cui sei nato e continuerà fino al giorno in cui muori – settanta, ottanta, novant'anni… La mente è uno strumento. Mostra un po' di compassione verso questo povero strumento; piano piano invecchia, piano pian inizia a non funzionare più così bene – hai bisogno di uno strumento nuovo.
Questo corpo invecchia, questo corpo si deteriora; è uno strumento. Ed è uno strumento incredibilmente intricato e complesso; la scienza non è ancora riuscita a inventare niente di simile. Il corpo ha così tanti automatismi… Pensi che l'automazione sia qualcosa di nuovo? Il tuo corpo possiede infiniti automatismi da milioni di anni.
Quando mangi, il cibo viene digerito automaticamente; non sei tu a doverlo digerire. Quando respiri, il sangue si arricchisce di ossigeno e rilascia anidride carbonica; non te ne devi occupare tu personalmente. Pensa se fossi tu a dover fare tutte queste cose! Impazziresti in un solo giorno; non riusciresti a sopravvivere. Nel corpo quasi tutto viene automaticamente, e per settanta, ottanta o novant'anni lo strumento del tuo corpo funziona perfettamente. Sì, qualche volta ti ammali, qualche volta non stai bene, qualche volta soffri di questo o di quello, ma non significa niente. Di fronte a uno strumento talmente complesso e delicato, qualsiasi malattia è irrilevante; il fatto stesso che tu esista è già un miracolo, essere a volte sano è già un miracolo.
Ma qualsiasi strumento si logora, persino il metallo si stanca – gli scienziati asseriscono che il metallo si stanca. Mentre ti parlo, si stancherà non soltanto il mio corpo, anche questo microfono si stancherà. Tutto si stanca e tutto ha bisogno di un po' di riposo.
Morire vuol dire semplicemente riposare, niente di più; il corpo si dissolve negli elementi, ritorna alla terra per riposare ma rinascerà di nuovo in migliaia di altri corpi, ritornerà alla vita. Non riesci a vedere che succede ovunque? Quando arriva la primavera gli alberi si riempiono di boccioli, poi i fiori appassiscono, ritornano alla terra. Poi arriva l'autunno, le foglie cadono al suolo e diventano concime: entreranno a far parte del ciclo vitale di qualche altra pianta, faranno parte di un altro albero, torneranno a godere del sole, torneranno a godere del vento, della luna, delle stelle, torneranno a sorridere, a ridere, a cantare la loro canzone – gli uccelli torneranno fra i loro rami e le persone potranno goderne la vista.
È un ciclo che continua a ripetersi. La vita è un'alternanza di azione e riposo, azione e riposo. La vita non è soltanto ciò che tu chiami vita; anche la morte fa parte della vita. La morte non è la fine della vita, è parte della vita; infatti, è grazie alla morte che la vita può esistere, perché tramite la morte la vita entra in una fase di riposo dove si ricarica di energia e vitalità prima di tornare. È come andare a dormire quando cala la notte: è così, dormire è una piccola morte; muori per alcune ore. Se di notte dormi bene, la mattina seguente sei fresco, ringiovanito, nei tuoi occhi c'è di nuovo una scintilla, i tuoi piedi sanno nuovamente danzare, ti senti nuovamente pieno di gioia e di brio. Se invece non hai dormito bene, ti sentirai stanco.
Quindi impara a vivere bene e morire bene. Quando è il tuo momento di morire, muori totalmente così quando rinasci, rinascerai pieno di vitalità. E, in definitiva, perché preoccuparsi della morte, allora? Sei passato attraverso molte morti, ma non ti interessano più. Chissà, potresti essere stato Alessandro Magno… Ci sono in giro tanti pazzi: forse sei stato Gengis Khan opere Adolf Hitler… qui ci sono tanti tedeschi! Chissà?
A questo mondo succede di tutto, ma tu non ti preoccupi. Anche se qualcuno ti dicesse che sei stato Alessandro Magno, diresti che la cosa per te non significa niente. Cosa importa infatti? Ma mentre eri Alessandro Magno, ti importava, e avevi il terrore della morte.
Morirai, e allo stesso tempo non morirai. Il corpo si stanca, la mente si stanca, l'ego si stanca… e la realtà dentro di te, il vero padrone – la consapevolezza – fa un balzo, cerca di trovare un altro capo, di entrare un altro utero e continuare il suo viaggio.
Poi arriva un momento in cui ti senti stanco di questi continui cicli della vita. Inizi sentendoti stanco di un ciclo, ma poi ne cominci un altro al quale ne segue un altro e un altro ancora – ruota della vita dopo ruota –, ma arriva un momento in cui diventi sempre più cosciente di quello che accade. Ti senti stanco, non soltanto di quella vita, ma della vita in sé, di questo costante andare e venire, quello che gli hindu chiamano awagaman: andare e venire.
Il giorno in cui ti stanchi sul serio di questo andare e venire, diventi una persona religiosa. Un nuovo elemento è entrato nella tua consapevolezza, un nuovo raggio di luce, è il momento in cui cominci a pensare al nirvana.
Normalmente la morte significa terminare una vita così che tu possa iniziarne un'altra; il nirvana è liberarsi di tutte le vite e non dover più vivere in quanto individuo – inizi a vivere in quanto universo, inizi a vivere in quanto essenza divina. Allora non c'è più bisogno di tornare di nuovo ad abitare un corpo, una mente, un ego.

mercoledì 26 febbraio 2020

SIAMO POLVERE DI STELLE, MA DI ALTRE GALASSIE


Sorprendente, affascinante ipotesi scientifica che ci spalanca lo sguardo sull'universo e suscita in noi inattesi interrogativi. Ecco che cosa scrive Matteo Marini su La Repubblica Scienze.

“Siamo fatti della stessa materia delle stelle”, scriveva l'astronomo e divulgatore scientifico Carl Sagan in Cosmos ben 37 anni fa. Ma ora sappiamo che metà di quella “polvere” proviene da stelle lontane, molto lontane, addirittura fuori dalla nostra galassia. La teoria si deve a un gruppo di astrofisici che cono riusciti a risalire, grazie ai calcoli di un computer, all'origine degli atomi di cui è fatta la Via Lattea. Compreso il nostro Sole, i pianeti e anche noi, gli inquilini di questo granello di materia, adesso siamo ancora più “cittadini dell'Universo”.
Le stelle sono dentro di noi: «L'azoto del nostro Dna, il calcio dei nostri denti, il ferro del nostro  sangue e il carbonio della nostra torta di mele», diceva Sagan. Così come i peli del nostro gatto che poltrisce sul divano, il divano stesso e la carta, o lo schermo, sul quale state leggendo questa storia. I miliardi di miliardi di atomi che li compongono sono materia intergalattica che ha percorso centinaia di migliaia di anni luce e infine si è riunita, compressa dalla sua stessa gravità.
Ma com'è arrivata fino a qui? Grazie ai venti galattici, scatenati dall'esplosione di supernove, stelle massicce giunte alla fine della loro vita. Sono fenomeni dall'immensa energia: le più potenti arrivano a essere anche diverse volte più luminose dell'intera Via Lattea. «Sapevamo già che siamo polvere di stelle - spiega Amedeo Balbi, professore associato al Dipartimento di Fisica dell'Università di Roma Tor Vergata, e divulgatore - cioè di materiali diffusi nell'Universo da queste esplosioni che arricchiscono il mezzo interstellare. Questi venti sono correnti di particelle cariche che, a quanto risulta dallo studio, spargono atomi non solo nelle vicinanze, ma su distanze tanto grandi da arrivare fino alle galassie vicine». Viaggiano per il cosmo a velocità di migliaia di chilometri al secondo. Per formare nuove stelle e nuove galassie.
Ad aiutare i ricercatori è stato un computer che ha simulato l'ambiente intergalattico. Uno scenario virtuale ricreato grazie al progetto Fire (Feedback in realistic environment) della Northwestern University. E i risultati sono stati sorprendenti. Il team internazionale, coordinato da Claude-André Faucher-Giguère, della Northwestern, ha dimostrato che galassie come la Via Lattea (che contano almeno 100 miliardi di stelle) si sono accresciute maggiormente proprio grazie a questo apporto, o furto, “ai danni” delle vicine. Pressoché il 50 per cento della materia che le forma proviene proprio da altri angoli dell'Universo. Nel nostro caso la grande e la piccola nube di Magellano, le più vicine alla nostra ma distanti 160.000 e 200.000 anni luce.
È da questi suoi satelliti che la Via Lattea ha riciclato la maggior parte del materiale con un processo che si ripete dalla nascita del
l'Universo. «Tutto quello che serve è cucinato dentro le stelle: la prima generazione, dopo il Big Bang, aveva a disposizione solo idrogeno ed elio» racconta Balbi «poi le generazioni successive hanno cominciato a produrre elementi più pesanti. E ogni volta che una stella esplode quel materiale viene rimesso in circolazione nelle nebulose, che sono anche la culla di nuove stelle». E da quelle nebulose che “accendono” gli astri siamo nati anche noi, una volta che la materia prima è stata a disposizione. «Succede quando quelle nubi molecolari hanno abbastanza elementi pesanti, polveri e molecole complesse per formare anche i pianeti e poi molecole ancora più complesse che servono agli organismi viventi» conclude Balbi. «Anche se per ora siamo l'unico esempio che conosciamo».


(Nella foto in alto, la nebulosa di Orione)

venerdì 7 febbraio 2020

LA MISTERIOSA E TRAGICA FINE DI LUPO GRIGIO, L'UOMO CHE DIFENDEVA LA SUA COLLINA



Dolore e rabbia. Sono i sentimenti che ho provato leggendo della terribile fine di Mauro Pretto, un uomo di 47 anni che da 18 anni viveva come un eremita, ucciso davanti alla porta della sua casa sui Colli Berici. Un uomo amante della natura,  pacifico e pacifista, indifeso, stroncato da un colpo di fucile sparato da un misterioso killer che nessuno finora è riuscito a individuare. Nelle pagine del Corriere della Sera, Andrea Pasqualetto ha scritto un articolo su questa terribile vicenda che mi ha commosso molto, e che desidero riportare qui. Perché ci fa riascoltare il pesante silenzio di una morte tragica e dimenticata.

Mauro aveva scelto la collina di Gazzo. Viveva nell'ultima casa di una stradina sterrata che serpeggia fra prati e castagni e spunta di colpo dietro una curva, alta e malferma come una vecchia sentinella. Tutto intorno, il dolce saliscendi dei Colli Berici di Zovencedo, in fondo, al di là dei boschi e delle doline, invisibile,Vicenza. Sulla cima della sua collina Mauro ha vissuto solitario per 18 anni, un po' pastore, un po' boscaiolo, un po' falegname. Sognava un gregge di pecore e nel suo periodo d'oro era riuscito anche ad averne una ventina ma durarono poco perché non riusciva a controllarle e i conti non tornavano. Decise così di dedicarsi al bosco, alla collina, che curava come fosse sua, e ai suoi quattro cani, Laica, Elsa, Robi e il vecchio Pedro che avrebbe dovuto badare al gregge. Qualcuno lo chiamava “Lupo grigio” perché questo era il nome da lui usato per comunicare con la ricetrasmittente. Ma per tutti era l'eremita della valle, che lottava contro gli egoismi della modernità per difendere il suo ambiente selvaggio. Una lunga battaglia, la sua, che durò fino alla mattina del 13 maggio 2017, quando fu trovato sull'uscio di casa steso a pancia in su, la camicia macchiata di sangue, gli occhi sbarrati. Accanto a lui solo Pedro che ululava senza sosta dopo aver strappato la catena alla quale Mauro lo legava ogni notte.
Non c'erano dubbi su cosa fosse successo e la pallottola che aveva nel petto lo confermò. Un colpo di fucile sparato da breve distanza da un misterioso killer venuto dal bosco. Mauro Pretto aveva 47 anni ed è morto così, freddato sulla porta di una casa che lui stesso aveva reso abitabile sistemando il rudere che era. Nonostante la solitudine, aveva una compagna. Si chiamava Anna, ha qualche anno in più e come lui non ama la città. Ma, a differenza di Mauro, in città vive e lavora. Fa l'impiegata alle poste di Montecchio Maggiore, terra di capannoni e di grande traffico. Abita in un appartamentino di un anonimo palazzo di periferia. «Prego, benvenuto nella piccola fattoria». Anna Giro vive con una gatta sorda, Desi, un canarino, e Robi, il meticcio di Mauro. «Questo è il mio mondo, esco solo per andare al lavoro e fare la spesa. Da quel giorno tutto è cambiato per me. Non ho più voglia di vedere gente». Ora l'eremita è lei, dice. Natale e Capodanno li ha festeggiati con Robi e Desi. «Preferisco stare con loro che almeno sono affettuosi». Non ci sono dubbi: è molto giù di corda e la causa prima è quella, il delitto. «Mauro era molto importante per me… era unico… un uomo libero e molto semplice, non ho mai conosciuto un uomo più semplice. Forse non esiste nemmeno. Lui difendeva l'ambiente e lo curava senza un tornaconto. E amava gli animali al punto da rinunciare a mangiare per loro. Mauro prima preparava per i cani e poi per sé, se ce n'era. Ecco, hanno ucciso un uomo così… e l'assassino è ancora in libertà».
Già, non l'hanno mai preso. Molti sono stati sospettati ma nessuno è finito nel registro degli indagati delle procura berica. «Obiettivamente abbiamo fatto tutto quello che era possibile», sospira il comandante del reparto operativo dei carabinieri, Alessandro Giuliani, che ha guidato l'inchiesta battendo varie piste. «È una di quelle vicende che mi è rimasta qui e non me ne faccio una ragione». Il giallo, dunque, rimane. I soli che hanno visto il killer non hanno il dono della parola: Pedro, Robi… Gli inquirenti hanno sondato il mondo dei cacciatori, dei boscaioli, dei centauri, categorie umane per le quali Lupo grigio non nutriva grandi simpatie.
«Ti spiego com'era: Mauro cercava di impedire lo sfruttamento indiscriminato della valle», spiega Anna mentre guarda il quadretto della foto che più le piace, dove lui fuma e guarda lontano. «Per esempio: i boscaioli. Diceva, io non sono contrario al taglio della legna ma deve esserci una misura e invece loro tagliano solo per far soldi, per avarizia, e uccidono così il bosco. E quindi litigava con loro. I cacciatori, non ne parliamo… Quelli con le moto che sgommavano dappertutto, altre baruffe». La lista è lunga: «Aveva poi fatto anche la battaglia contro l'apertura di una miniera… Quando aveva le pecore se l'era presa con uno che metteva il fertilizzante…».
Considerava la valle come il giardino di casa. «Tagliava l'erba, scavava le canalette per l'acqua perché la collina non franasse, potava gli alberi… anche di qualche giardino privato e così tirava su 10-20 euro e con quelli comprava la benzina della motosega e qualcosa per i cani… Averne di Mauro.
Si erano conosciuti nel 2008: «Lui stava vivendo un periodo difficile e ogni tanto i miei amici gli portavano su qualcosa di buono da mettere sotto i denti. Ci siamo conosciuti così, mi è piaciuto subito. Ho vissuto anche un periodo in quella casa, ma non ce l'ho fatta. Era troppo dura lassù. Andavo comunque a trovarlo e ci sentivano tutti i giorni». La sera prima del delitto l'aveva chiamata per il solito saluto. «Erano le 20,20. Mi aveva detto che andava a letto perché il giorno dopo doveva svegliarsi presto per portar su delle assi di legno. Doveva fare le cucce per i cani». Si sarebbe fatto aiutare da Davide, il vicino. Vicino si fa per dire visto che abita con Sanja a mezzo bosco da lui.
«Era passato da noi alle 8 di sera per un caffè, sembrava tranquillo», confermò Davide. «Eravamo d'accordo di trovarci la mattina alle 6 per il legno. Il giorno dopo, visto che non arrivava, sono andato su a vedere cos'era successo e l'ho trovato lì, così…». Basta citare Mauro e a Sanja vengono gli occhi lucidi. «Quando avevo perso i capelli per la chemio e lui mi vide piangere è andato a casa e dopo mezz'ora è tornato con i capelli tagliati solo per farmi sorridere…».
Gino Bertese, che qui ha una bella casa, ricordò che «raccoglieva anche i mozziconi di sigaretta e fermava tutte le moto che correvano sullo sterrato, quelli però avevano diritto di correre». Ma la legge di Lupo grigio non era di questa mondo.
«Detestava il sistema, la cosiddetta civiltà, la trovava ipocrita e famelica e per questo se ne stava lassù…», scuote la testa Anna che si alza, apre la credenza e fruga tra mille scatole. «Ho tenuto un sacchettino con una cosa interessante. Eccolo… Vedi questi: sono mozziconi di sigaretta. Li ho trovati davanti alla casa di Mauro dopo il delitto». Mozziconi di Camel. «A parte il fatto che lui le sigarette spente le metteva sempre in tasca perché non voleva inquinare la Terra, ti assicuro che non fumava Camel, solo Ms. L'ha detto ai carabinieri?  «L'ho detto sì, subito, ma non sono mai venuti a prenderli. Li ho comunque tenuti, chissà mai che un giorno servano. Il mio sogno è dargli giustizia e trovare il colpevole. Chiunque sia, sappia che ha ucciso un uomo puro, come si può vivere con questo peso sulla coscienza? Mauro…». Anna si ferma, cerca un respiro per reprimere la commozione.
«…Non apparteneva a questo modo e questo mondo l'ha eliminato…». Dura, durissima.
L'assassino, la brutalità del gesto, la vittima sola, idealista, senza difese. Due estremi che quella notte si sono forse guardati in faccia. Uno aveva il fucile e ha fatto fuoco e tutto è finito. Chi sarà quest'uomo? Chi è il killer dell'eremita? «Difficile… Mi hanno detto per esempio che il giorno dopo il delitto c'era un tipo del posto che voleva suicidarsi e aveva bevuto della candeggina. Mi piacerebbe sapere perché quello voleva suicidarsi. Altri dicono che Mauro avesse baruffato per la legna…». Lupo grigio litigava e lottava per difendere la collina. «Mi manca da morire», sussurra Anna stringendo Robi. «Ci manca da morire, vero piccolo? Mi manca la sua semplicità, la sua purezza. Mi mancano i suoi occhi che guardavano il mondo in un modo diverso. Erano occhi rari, unici».

Già, una bella fiaba con un finale molto triste.

In alto, un'intensa immagine di Mauro Pretto.
Qui sopra, il casale
sui Colli Berici, in provincia di Vicenza,
che Mauro aveva reso abitabile
e nel quale ha vissuto
come un eremita per diciotto anni.