giovedì 28 agosto 2014

DAL 19 AGOSTO SCORSO IL “CONTO CORRENTE” DELLA NOSTRA TERRA È IN ROSSO. CONSUMIAMO E PRODUCIAMO RIFIUTI PIU' DI QUANTO LEI POSSA METTERCI A DISPOSIZIONE E SMALTIRE


Meno di otto mesi nell'arco di quest'anno. Ecco il margine di autononia del sistema produttivo del nostro pianeta, che il 19 agosto è entrato in rosso. Quello è stato, appunto, l'overshoot day: vuol dire che a quella data abbiamo prelevato più di quanto abbiamo a disposizione fino a dicembre nel “conto corrente” della nostra Terra. Dal 20 agosto abbiamo cominciato a indebitarci, sottraendo beni e servizi al futuro perché gli ecosistemi non sono più in grado di rigenerarli. Piante, aria pulita, suolo fertile e così via: anno dopo anno, ci stiamo facendo fuori la dotazione che abbiamo ricevuto da una storia evolutiva durata oltre 3 miliardi di anni.
È quanto si deduce dai calcoli dl Global Footprint Network, il centro di ricerca che studia l'andamento dell'impronta ecologica dell'umanità, la capacità del pianeta di ricostituire le risorse e di assorbire i rifiuti, compresa la CO2.
«Il problema del superamento della capacità rigenerativa sta diventando la sfida del ventunesimo secolo: è sia un problema ecologico che economico» afferma Mathis Wackernagel, che ne è il presidente.
L'elemento più impressionante è l'accelerazione del trend negativo. Mentre negli ultimi anni si parla sempre più spesso di politiche ambientali, i numeri mostrano un quadro molto diverso. Nel 1961 l'umanità usava solo 3/4 della capacità della Terra di rigenerare cibo, fibre, legname, risorse ittiche e di assorbire gli inquinanti. All'inizio degli anni Settanta l'impronta ecologica dell'umanità ha superato la capacità di produzione rinnovabile del pianeta. E da allora il deficit è andato crescendo.
Oggi, l'85% della popolazione mondiale vive in Pasi che richiedono alla natura più di quanto i loro ecosistemi nazionali riescano a dare. E l'Italia è fra questi: consumiamo più di 4 volte le risorse disponibili sul nostro territorio. Peggio di noi il Giappone (7 volte di più) e gli Emirati Arabi (12 volte di più). Calcolando non il livello di efficienza delle singole economie, ma il rapporto tra consumi e risorse disponibili all'interno di ogni singolo Paese, il deficit degli Stati Uniti d'America viaggerebbe attorno al valore 2. E se lo stile di vita americano venisse esportato a livello globale, cioè se oltre 7 miliardi di persone consumassero come lo statunitense medio, sarebbe una vera catastrofe.
Già oggi, secondo i calcoli del Global Footprint Network, ci sarebbe bisogno di una Terra e mezza per produrre le risorse rinnovabili per sostenere l'impronta ecologica dell'umanità attuale. E, in base a una proiezione prudente, si arriverà a 3 pianeti prima della metà di questo secolo.
«C'è bisogno non solo di un cambiamento tecnologico, ma anche di una svolta negli stili di vita» osserva Roberto Brambilla di Rete civiva italiana. «Le aziende non possono più dirsi virtuose se si limitano a ridurre i propri consumi: devono anche mettere chi compra i loro prodotti nelle condizioni di non inquinare».
Ma bisogna fare presto. In caso contrario l'umanità rischia davvero grosso. Ciascuno di noi può fare qualche cosa per contribuire a ridurre eccessi e sprechi e a difendere il nostro pianeta, l'unica Casa di cui disponiamo. Se la distruggeremo, distruggeremo noi stessi. Quante volte, attraversando le bellissime dune di Maspalomas per andare sulla spiaggia, incontro lattine e bottiglie di plastica abbandonate da qualcuno che si comporta da vero incosciente. Ogni volta le raccolgo e le porto al più vicino luogo di raccolta dei rifiuti, a volte allungando anche la strada che dovrei percorrere. Lo faccio come piccolissimo contributo mio personale per salvare la nostra Terra. “Se un'altra persona si è comportata da incosciente, io non seguirò il suo esempio”, mi ripeto. E poi, ogni volta, mi sento orgoglioso di aver fatto anche solo un piccolo gesto per salvare l'ecosistema, per salvare questa meraviglia della natura che si chiama Terra e che noi minacciamo con il nostro comportamento arrogante, ignorante e superficiale. Già, viene proprio da dire (ed è la verità), che autentico Paradiso sarebbe la Terra senza gli uomini! Continuando così, saranno davvero loro a distruggerla. E pensare che ancora una volta la salvezza potrebbe venire dalla consapevolezza, dall'attenzione profonda per i gesti che compiamo. Se ci osservassimo attentamente, in profondità, mentre gettiamo una lattina o una bottiglia nell'ecosistema delle dune (o mentre compiamo qualunque altra azione che danneggia la Terra), credo che ci fermeremmo. Perché dentro di noi, nel profondo, tutti sappiamo quello che è giusto o ingiusto fare. Ma non ascoltiamo questa voce: preferiamo perderci in mille pensieri inutili e dannosi, rincorrere desideri e sogni che non approdano a niente se non  all'autodistruzione…

venerdì 22 agosto 2014

INTERDIPENDENZA O INTER-ESSERE: TUTTO CIÒ CHE ESISTE È CONNESSO ALLE ALTRE COSE ESISTENTI NEL COSMO



Si chiama Interdipendenze e dice testualmente così la bellissima meditazione del 22 Agosto tratta dal libro, che ho già citato altre volte, Meditazioni quotidiane - Pensieri di trasformazione di Dede Riva, Edizioni Mediterranee: 

“Hai mai provato a riflettere su tutte le connessioni che esistono tra un oggetto e tutto il resto del mondo che, in apparenza, gli sembrerebbe del tutto estraneo? 
Prendi una sedia, ad esempio, forse quella su cui stai seduto proprio in questo momento. Sembra che nulla ti leghi ad essa, sembra che tu sia un'individualità dotata di certe caratteristiche e di una massa fisica che niente ha a che spartire con le caratteristiche e la massa della sedia; appartenete addirittura a due regni della natura diversi, quindi, quale mai potrebbe essere il punto di interdipendenza?
Prova però a risalire all'origine della sedia: pensa al negoziante da cui l'hai acquistata, al falegname che l'ha costruita, a chi ne ha disegnato il progetto e ha stabilito quale era il legno migliore per realizzarla, all'albero che il taglialegna ha deciso di abbattere, al terreno che ha raccolto in sé il seme di quell'albero, all'acqua che, insieme alla terra, l'ha fatto crescere, ai sali minerali che le rocce hanno ceduto alla terra e che l'hanno nutrito, al sole ed alla luce che gli hanno consentito di vivere attraverso la sintesi clorofilliana, agli animali cui ha dato riparo e che hanno concimato il terreno tutt'intorno a esso, gli esseri umani cui ha fornito ossigeno in cambio dell'anidride carbonica necessaria alla sua vita, alle entità spirituali preposte alla conservazione del regno vegetale… Pensi ancora che tra te e questa sedia non esista nessuna rapporto? 

A qualsiasi essere o oggetto tu applichi questa ricerca, sempre troverai interconnessioni globali, a tutto tondo. 
E non appena il gioco delle interdipendenze ti svela le sue regole, nel tuo cuore fioriscono il rispetto, la comprensione, la compassione e l'amore per ogni forma di vita in Terra e in Cielo”. 

Concetti e parole profonde, come si può constatare, che parlano di una consapevolezza altrettanto profonda. E come non ricollegarvi l'insegnamento sulla natura dell'inter-essere che ci viene dal buddhismo, e che è magistralmente ricordato dal monaco vietnamita Thich Nhat Hahn in tanti suoi scritti, come per esempio nel bellissimo manuale intitolato Paura - Supera la tempesta con la saggezza, Bis Edizioni, un libretto pratico e ricchissimo di insegnamenti? Ecco che cosa dice Thich Nhat Hahn:

“Se guardiamo un foglio di carta in profondità, vedremo che è pieno di tutto ciò che è nel cosmo: la luce del sole, gli alberi, le nuvole, la Terra, i minerali, tutto, eccetto una cosa soltanto. C'è una cosa che manca: un sé separato. Il foglio di carta non può essere in virtù di se stesso soltanto: deve inter-essere con ogni altra cosa dell'Universo. Ecco perché la parola inter-essere ci può essere utile più della parola essere. In realtà essere significa inter-essere. Il foglio di carta non può essere senza il sole o senza la foresta: deve inter-essere con il sole e con la foresta.
Se ci domandassimo come il mondo abba cominciato a esistere, a essere, il Buddha ci risponderebbe in termini molto semplici: «Questo è, poiché quello è. Questo non è, poiché quello non è». Poiché c'è il sole, c'è il foglio di carta. Se esiste l'albero, esiste il foglio di carta. Non si può essere in virtù di se stessi soltanto: si deve inter-essere con ogni altra cosa nel cosmo. Questa è la natura dell'inter-essere. Non penso che la parola inter-essere sia contenuta nel vocabolario ma credo che presto vi verrà accolta, perché ci aiuta a vedere la vera natura delle cose, la natura dell'inter-essere.
Se siete imprigionati nell'idea di un sé separato, la vostra paura è grande. Ma se guardate in profondità e siete capaci di vedere “voi stessi” in ogni luogo, potrete liberarvi da questa paura… Questa è la pratica del guardare in profondità, la pratica della concentrazione sul vuoto, la pratica dell'inter-essere”. 

Un tema che si può in qualche modo ricollegare a quello dell'impermanenza di tutto ciò che esiste. Dice sempre Thich Nhat Hahn in Paura - Supera la tempesta con la saggezza. 

“Secondo la saggezza buddhista, la visione dell'immortalità, o permanenza, è una visione sbagliata. Ogni cosa è impermanente, tutto cambia in continuazione. Nulla resta uguale a se stesso per sempre. Dunque la permanenza non è la vera natura delle cose. Allo stesso modo affermare che dopo la morte non resta nulla è una visione sbagliata… L'immortalità è un concetto sbagliato, perché finora non si è mai visto niente di simile: tutto ciò che osserviamo è impermanente, in continua trasformazione. Tuttavia anche l'annichilamento è un concetto sbagliato.
Immaginate di parlare della morte di una nuvola: guardate in cielo e non vedete più la vostra nuvola preferita ed esclamate: «O, mia amata nuvola, non ci sei più! Come posso sopravvivere senza di te?» e piangete disperati. State pensando alla nuvola come se fosse passata dall'essere al non essere, dall'esistenza alla non esistenza.
La verità è che per una nuvola è impossibile morire. Morire significa che siamo qualcosa e poi improvvisamente nessuno. Abbiamo visto che non è così. È per questo che, quando festeggiamo il compleanno di qualcuno, invece di: «Buon compleanno a te!» faremmo forse meglio a cantare: «Buona continuazione a te!». La nostra nascita non è stata il nostro inizio ma solo la continuazione. Infatti esistevamo già, in altre forme…
Quando perdiamo qualcuno che ci è molto vicino a piangiamo la sua morte, dobbiamo guardare più a fondo. Quella persona continua a esistere, in qualche modo, e noi possiamo fare qualcosa per aiutarla ad avere una continuazione ancora migliore. È ancora viva, dentro di noi e intorno a noi. Guardando alle cose in questo modo, potremo ancora riconoscerle in forme differenti, proprio come riconosciamo la nuvola nella tazza del tè che beviamo. Quando bevete il tè con consapevolezza e concentrazione, potete avvertire che la nuvola è proprio lì, nella tazza, più vicina che mai. Non avete mai perso la persona che amavate: ha solo cambiato forma.
Questa è la prospettiva, la visione profonda che ci occorre per superare il lutto. Pensiamo di aver perso qualcuno per sempre, ma il nostro caro non è morto, non è scomparso: continua a esistere in nuove forme. Dobbiamo imparare a guardare in profondità per riconoscere la sua continuazione e sostenerla. «Mia amata/Mio amato, so che sei qui in qualche forma e percepisco davvero la tua presenza. Sto respirando con te, sto volgendo lo sguardo intorno per te. Godo della vita per te. So che ci sei ancora, molto vicino a me e dentro di me». In questo modo trasformeremo la nostra sofferenza e la nostra paura in comprensione risvegliata e ci sentiremo molto meglio.

Quando superiamo il concetto di nascita e di morte, cessiamo di esistere dominati dalla paura. L'idea di essere e di non essere può creare un enorme senso di paura. Quando la nuvola scompare nel cielo, essa non passa dall'essere al non essere ma continua sempre. La natura della nuvola è la non-nascita e la non-morte. La natura della persona che amate è la stessa e così è anche la vostra”. 
  


mercoledì 13 agosto 2014

LA TRAGICA FINE DI ROBIN WILLIAMS. E ORA SONO IN MOLTI TRA QUELLI CHE L'HANNO AMATO A CHIEDERSI: “PERCHÉ?“

                       
È proprio vero, come adesso stanno dicendo un po' tutti i media: con i tanti, memorabili personaggi che ha interpretato, ci ha commosso intensamente, ci ha fatto ridere e piangere, attraversando tutti i generi della recitazione cinematografica, e adesso che è uscito di scena in quel modo tanto tragico, siamo tutti sgomenti e addolorati. Abituati a vedere lui, come tanti altri divi del grande schermo, come esseri speciali, privilegiati, ricchi e amati, non riusciamo a capire come un attore affermato, ricoperto di fiumi di denaro (almeno in passato) per ogni film girato, possa finire così, con la vita annegata nell'alcol, nella droga e nella disperazione. E come abbia potuto decidere la lasciare volontariamente per sempre l'amata figlia Zelda e la terza moglie, in una fresca e luminosa mattina di piena estate, nella solitudine della sua splendida casa di San Francisco. Solo un mese fa era stato dimesso da una clinica dove si era ricoverato per una disintossicazione dall'alcol, e non era certo la prima volta. Dipendenza da sostanze, dalla fama e dai soldi (che negli ultimi tempi erano sempre più scarsi), ma possibile, senza tuttavia voler dare giudizi in merito, che gli affetti familiari contassero così poco? E, poi, sorprende che persone intelligenti, aperte, sensibili, come era certamente Robin Williamson, per curare le insondabili ferite dell'anima non sappiano andare oltre l'uso di stupefacenti e psicofarmaci, come se oggi il mondo non potesse offrire altre soluzioni, decisamente non pericolose e, al contrario, liberatorie, capaci di dare una prospettiva completamente diversa dalla quale osservare la vita? Basterebbe forse, in certi casi, affidarsi al conforto di un credo che dia una nuova forza interiore, un nuovo slancio capace di passare un colpo di spugna sulle angosce interiori, sul senso di vacuità che per alcune persone circonda la vita, su quel malessere che corrode l'anima da dentro e spesso, come in questo caso, non lascia scampo.


In tanti casi, una filosofia di vita ispirata, per esempio, agli insegnamenti del buddhismo potrebbe essere una via d'uscita. E di certo negli Stati Uniti questi hanno avuto una larga diffusione, probabilmente più che in Europa. Ma il problema è che in certi ambienti della società molto competitivi, molto duri, come quello dello star system cinematografico americano, non è facile resistere a certi richiami autodistruttivi  e inoltre bisogna riconoscere che certe coscienze, a causa di una sensibilità diversa, non sono ancora pronte ad accogliere tali insegnamenti, un po' come la terra arida per una prolungata siccità non è capace di accogliere e far germogliare i semi portati dal vento.
Eppure, ci insegna un grande maestro spirituale, uno dei miei preferiti, come è Thic Nhat Hanh, ci indica una strada facile e ardua nello stesso tempo: portare consapevolezza nella nostra vita come unico rimedio all'infelicità esistenziale. «Per essere felici - afferma in uno dei suoi tanti, bellissimi e avvincenti libri (Camminando con il Buddha - Zen e felicità, Oscar Mondadori, già citato nel precedente post e capitato ad hoc anche in questa occasione) - non serve una gran quantità di denaro, né di fama o di potere: per essere felici abbiamo bisogno di presenza mentale. Abbiamo bisogno di libertà – libertà dalle preoccupazioni, dall'avidità, dalle ansie – in modo da poter entrare in contatto con le meraviglie della vita che abbiamo a disposizione qui e ora».
È in fondo una concezione minimalista della vita,  che si affida a una presenza sensuale, al percepire, escludendo pensieri, giudizi e altri giochi della mente e dell'ego, tutto ciò che i sensi ci trasmettono a 360 gradi, così da essere in contatto diretto e continuo con la natura e il suo divenire, e in definitiva con la Vita e il suo scorrere. Parole che possono apparire scontate, una formula vuota, se le si esamina attraverso la mente stessa, invece in un certo senso rivoluzionarie vissute dal cuore.
E se Robin Williams, come tante altre persone tristi e depresse, avesse apprezzato con tutto se stesso le bellezze del mondo e della vita, se si attraverso fosse sentito vivo fino all'ultima fibra del suo corpo, sarebbe stato anche più propenso a scegliere di assistere in prima persona, anzi in prima fila, alla svolgersi del film della sua esistenza, fino alla parola “The End” scritta dalla vita stessa. Avrebbe potuto vivere altri momenti meravigliosi e altre sconfitte con lo stesso atteggiamento distaccato, ironico che fa dire “Ah, è così? Anche questo passerà”, anziché scegliere un finale diverso e, forse, non privo di conseguenza sul piano del karma individuale.
La vita di ciascuno è davvero come un film cui ognuno, ogni giorno, aggiunge una scena, è come un mosaico cui ciascuno ogni giorno unisce qualche tassello, ed è bello scoprire con il tempo come il film o il mosaico prendano forma, si arricchiscano e offrano sempre più un quadro d'insieme.
È vero, la vita non sempre è una compagna gradevole, non sempre ci appare amica, ma ci è comunque maestra, un po' come la morte. Come una madre severa ma comprensiva, dura ma caritatevole, ci pone davanti prove difficili (spesso conseguenza di nostre scelte sbagliate, di errori di condotta!) per farci capire dove abbiamo sbagliato, però ci offre anche la possibilità di rimediare, se lo vogliamo. Perché è indubbio che ogni giorno, consciamente o no, ciascuno di noi pone i semi di quello che ci accadrà domani o in futuro.




venerdì 8 agosto 2014

THICH NHAT HANH: «LA SICUREZZA E LA PACE NON SONO QUESTIONI INDIVIDUALI»


                                   

«Sono molto preoccupata, per non dire angosciata, perché in tutto il Medio Oriente e nel Mediterraneo, proprio a poche centinaia di chilometri da noi, ci sono conflitti che minacciano la pace mondiale» mi scrive Sara. «Basta un niente perché si allarghino e arrivino a coinvolgere altri Paesi, compreso il nostro, come in una sorta di scacchiera. E poi mi angoscia la sorte di quelle migliaia e migliaia di cristiani profughi in Iraq a causa di fanatici terroristi che, in nome di Allah, seminano terrore e morte tra chi non è della loro religione. Io li accoglierei, tutti quei profughi, in Italia, in Europa, non foss'altro per bilanciare l'arrivo cui stiamo assistendo di quella massa enorme di immigrati, per la totalità musulmani, che né il nostro Paese né l'Europa vuole respingere e che un giorno, quando saranno la maggioranza, decreteranno la nascita di un nuovo continente, l'Eurabia, e faranno di noi cristiani quello che stanno facendo in Irak. Del resto, l'hanno annunciato proprio recentemente di voler riconquistare l'Andalusia, “la terra dei loro avi” e conquistare Roma e il mondo intero... E la basilica di San Pietro diventerà una grande moschea come è avvenuto per quella di Santa Sofia a Costantinopoli?»
Non voglio e non posso in questa sede entrare nel merito delle catastrofiche previsioni di Sara né pronunciarmi su un fenomeno biblico che, certo, qualche preoccupazione può suscitare. Quello che vorrei puntualizzare, però, è la totale inconsapevolezza dei contendenti in questi conflitti, ognuno vittima del proprio ego e dei propri preconcetti e che fa sì che la follia umana non abbia mai fine, nonostante le innumerevoli distruzioni e le innumerevoli vittime causate in altrettante guerre da che l'umanità esiste. Ecco, per esempio le parole di grande attualità che il noto e amato monaco buddhista vietnamita Thic Nhat Hanh (nella foto in alto) esprime al proposito nel suo libro Camminando con il Buddha - Zen e felicità, Oscar Mondadori:
“Dire «O siete con noi o siete con i terroristi» dimostra che si è profondamente attaccati alla visione dualistica. È come dire «se non sei cristiano sei contro il Cristo»: non è certo teologia, questa, e non è corretto neanche dire «Se non sei con il Buddha sei contro il Buddha»: negli insegnamenti e nella pratica del buddhismo ci viene ricordato di continuo che il Buddha era un essere vivente e che non c'è distinzione alcuna fra il Buddha e gli altri esseri viventi. Se togli al Buddha la natura di “essere vivente”, quel che resta non è più un buddha. La sostanza di questo insegnamento si trova in tutte le tradizioni.
«O siete con noi o siete con i terroristi» non è una buona politica: non è neanche buona diplomazia, perché di certo i governi che la pensano diversamente non gradiranno un'affermazione del genere… Se davvero vogliamo che la pace sia possibile, dovremmo cercare di guardare alla realtà in modo che non generi separazioni. È così importante allenarci a una visione non-dualistica! Sappiamo per esperienza personale che se l'altro non è felice ci è molto difficile esserlo a nostra volta. L'“altro” può essere nostra figlia, il partner, un amico, nostra madre, nostro figlio, nostro padre, un nostro vicino; l'“altro”  può essere la comunità cristiana, la comunità ebraica, la comunità buddhista, la comunità islamica. Se ci rendiamo conto che la sicurezza e la pace non sono questioni individuali, agiamo spontaneamente in favore del bene collettivo. Tutto quello che facciamo per aiutare amici, vicini e altri paesi a essere più sicuri e più rispettati porta beneficio anche a noi. Altrimenti siamo prigionieri della nostra stessa arroganza: la visione dualistica ci porta ad agire sempre in modalità distruttive per noi stessi e per il mondo”.
Ma arriverà il giorno in cui l'uomo capirà finalmente queste semplici verità? Riuscirà un giorno a non identificarsi più con la propria emotività, i propri preconcetti e a diventare consapevole? Forse tra migliaia e migliaia di anni, ammesso che l'umanità o la Terra esista ancora? «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» disse Gesù, sulla croce, dei suoi torturatori. Parole che esprimono anche una drammatica accusa. «Non sanno quello che fanno» ossia «sono totalmente inconsapevoli, sia delle proprie azioni sia delle conseguenze cui queste porteranno». È la stessa, identica, posizione di molti capi politici o di Stato, di certi rappresentanti religiosi, di tutti quei militanti che in nome di Dio e della religione uccidono i loro simili, dimenticando che siamo tutti essere spirituali, scintille divine, che hanno preso sede in corpi impermanenti, anzi evanescenti come bolle di sapone. Tutti, indistintamente. Perché, allora, tanto egoismo, tanti soprusi, tante violenze, tanti massacri, tanto odio?