sabato 18 luglio 2020

OSHO: LA MORTE? PER CHI LA VIVE IN CONSAPEVOLEZZA NON ESISTE


Mirabili, significative, e fondamentali per chiunque, le disquisizioni sulla realtà (o l'illusione) della morte, quelle di Osho in La voce del mistero. Le rileggo spesso e ogni volta cerco di farle sempre più mie. E vorrei provare qui a farle anche vostre. Eccovene una (ricca) selezione.

La consapevolezza della morte… Se un uomo riesce a morire in stato di consapevolezza, per lui la morte non esiste più. In altre parole, se un uomo riesce a restare consapevole nell'istante della morte, scopre di non morire affatto; la morte gli si manifesta come illusione. Tuttavia che la morte si riveli un'illusione non vuol dire che resti davvero un'illusione. Piuttosto, quando una persona muore in stato di totale consapevolezza, scopre che la morte non esiste affatto. A quel punto si rivela semplicemente una menzogna.
Ma per te è naturale chiedere: «Chi si illude?». Hai ragione nel dire che non può essere il corpo, perché come può il corpo illudersi? Né può essere l'anima, perché l'anima non muore mai. Allora, chi si illude? Naturalmente, non è né il corpo né l'anima. In realtà, non è mai l'individuo che prova l'illusione della morte; l'illusione della morte è un fenomeno sociale. Questo va capito con precisione.
Quando vedi morire un uomo, pensi che sia morto. Ma poiché tu non sei morto, non hai il diritto di crederlo. È molto stupido da parte tua concludere che sia morto. Tutto ciò che dovrei dire è: «Non posso determinare se sia la stessa persona, nella stessa forma, che conoscevo prima». Dire qualcosa di più è pericoloso, è valicare i limiti del lecito.
Si dovrebbe dire solo questo: «Fino a ieri quell'uomo parlava, adesso non parla più; prima camminava, adesso non cammina più. Quella che fino a ieri ritenevo essere vita non esiste più; la vita che ha vissuto fino a ieri è scomparsa. Se c'è una vita dopo la vita, che la viva; altrimenti, sia ciò che deve essere». Ma dire: «È morto» è spingersi troppo in là, è andare oltre i limiti. Ci si dovrebbe limitare a dire: «Non è più vivo». La vita che gli si riconosceva, ora non c'è più.
Questa affermazione negativa è corretta: ciò che noi sapevamo essere la sua vita – le sue lotte, i suoi amori, il suo mangiare, il suo bere – non esiste più, mentre dire che è morto è fare un'affermazione troppo positiva.
… Noi che non siamo morti, che non abbiamo conoscenza della morte, ci raduniamo intorno a quella persona e sentenziamo che è morta. La folla determina la morte di un individuo senza nemmeno chiederglielo, senza nemmeno ascoltarlo come testimone!… Segui quello che sto dicendo? La morte è un'illusione sociale.  Non è l'illusione di quell'uomo: la sua illusione è di tipo completamente diverso.
La sua illusione non è di morire. La sua illusione è questa: come può aspettarsi di restare consapevole nell'istante della morte, dopo aver vissuto tutta la vita nell'incoscienza?
… Pensi che chi non è in grado di scorgere la vita nemmeno nel suo stato di veglia, sarà capace di vedere cos'è la morte? Di fatto, non appena la vita scivola dalle sue mani, in quell'istate si perderà in un sonno profondo. La realtà è che all'esterno noi abbiamo la sensazione che sia morto, ma questa è una decisione della società, ed è sbagliata. Qui il fenomeno della morte viene determinato da chi non è qualificato per farlo. Nessuno, nella folla, è un buon testimone, perché nessuno ha visto davvero morire quell'uomo. Nessuno ha mai visto morire una persona! L'atto del morire non è mai stato testimoniato da nessuno.
… Una persona che ha sempre pensato che la propria vita consistesse nel mangiare, bere, dormire, andare in giro, litigare, amare, stringere amicizie e creare inimicizie, nell'istante della morte scopre all'improvviso che questa vita le sta scivolando dalle mani. Ciò che aveva compreso come vita non era affatto tale. Non erano altro che azioni, visibili alla luce della vita.
… Per cui quell'uomo pensa di morire, che la vita è persa per sempre. Ha visto morire in precedenza altra gente, e l'illusione sociale che l'essere umano muoia si è fissata nella sua mente.
…Si vede circondato dai suoi cari, dalla famiglia e dai parenti che piangono amaramente… Adesso è certo della sua morte; l'illusione sociale di stare morendo si radica nella sua mente. Gli amici e i parenti intorno a lui cominciano a formare un incantesimo ipnotico.
… Questo è ipnotismo sociale. L'uomo adesso è completamente persuaso di stare morendo, di andarsene. Questa ipnosi di morte lo renderà inconsapevole, spaventato, terrorizzato; si ritirerà e la sua sensazione sarà: «Sto per morire, sto per morire. Cosa devo fare?». Travolto dalla paura chiuderà gli occhi, e in quello stato di angoscia diventerà incosciente.
… Se hai mai avuto un'esperienza di meditazione, se hai mai intuito di essere separato dal corpo, se la sensazione di esserne distinto è scesa in profondità dentro di te, anche solo per un attimo, quando la morte arriverà non sarai inconsapevole. Di fatto, a quel punto, la tua inconsapevolezza si sarà già spezzata. Sarai in grado di morire consapevolmente.
Essere in grado di morire consapevolmente è una contraddizione in termini. Nessuno muore consapevolmente, coscientemente, perché per tutto il tempo resta consapevole che non sta morendo; qualcosa sta cessando, ma non lui. Continua a osservare la propria separazione dal corpo, e alla fine scopre che esso giace lontano da lui. Allora la morte si rivela non essere altro che una separazione, la rottura di un legame. È come se io uscissi da questa casa e i suoi abitanti, ignari del mondo esterno, venissero alla porta e mi dessero un addio in lacrime, pensando che l'uomo che sono venuti a salutare debba morire.
… Quindi, per chi muore consapevolmente, la morte non esiste; per una persona simile il problema della morte non si pone.
… La verità è che una persona meditativa, che abbia fatto qualche progresso nella meditazione, per molto tempo non capisce di essere morta. Vede la gente intorno a sé e si chiede perché stia piangendo. I preparativi per cremare il suo corpo, o per seppellirlo, servono solo a ricordare che non è più vivo, che non è più la stessa persona.
Questo è il motivo per cui, nel nostro paese, bruciamo tutti i corpi eccetto quelli dei sannyasin. L'unico motivo è che, se il cadavere fosse preservato, lo spirito potrebbe continuare a vagarvi intorno per molti mesi, pensando che non sia morto e cercando di rientrarvi. Conservare il corpo vuol dire creare un piccolo ostacolo per il suo nuovo viaggio. Lo spirito vagherebbe inutilmente; per questo si usa cremare immediatamente i corpi, in modo che, nel luogo della cremazione, lo spirito possa vedere che tutto è finito, che quello che pensava essere il suo corpo non esiste più. Lo spirito comprende di non avere più alcun legame con il corpo, che il ponte è rotto.
… Solo i corpi dei sannyasin non vengono ma cremati, perché un sannyasin sa già di non essere il corpo. Quindi non c'è problema nel conservare il corpo di un sannyasin in una tomba.
…  È possibile morire in stato di consapevolezza solo se sei vissuto in stato di consapevolezza. Se hai imparato come vivere consciamente, certamente riuscirai a morire consciamente, perché morire è un fenomeno della vita, accade nella vita. In altre parole, la morte è l'evento finale di quella che tu credi essere la vita.
… Di solito, vediamo la morte come qualcosa di esterno alla vita, come una sorta di fenomeno opposto a essa. No, in realtà la morte è l'ultimo di una serie di eventi che accadono nella vita. È come un albero che porta i suoi frutti. Prima il frutto è verde, poi comincia a diventare giallo e lo diventa sempre di più fino a quando, infine, è completamente giallo e cade dall'albero.
… La caduta del frutto dall'albero non è un evento a parte; al contrario, è il culmine dell'ingiallimento, della maturazione attraverso cui è passato. E cosa stava accadendo quando il frutto era verde? Si stava preparando a quello stesso fenomeno finale. E lo stesso processo avveniva quando non era ancora fiorito sul ramo, ma era nascosto al suo interno. Anche in quello stato si stava preparando all'evento finale. E che dire di quando l'albero non si era ancora manifestato, ma era racchiuso nel seme? Era in corso la stessa preparazione. E di quando questo seme non si era ancora formato, ma era celato all'interno di un altro albero? Era in atto lo stesso processo.
Quindi l'evento della morte è parte di una catena che appartiene allo stesso fenomeno. L'evento finale non è un termine, ma solo un distacco. Una relazione, un ordine, viene sostituito da un'altra relazione, da un altro ordine.
Nirvana vuol dire essere consapevoli che ciò che definiamo come morte non è affatto una morte, e che quella che definiamo vita non è realmente una vita… Nirvana indica la comprensione assoluta di queste due realtà.
Se tu sai solo che la morte non esiste, continuerai a rinascere. La vita, in un certo senso, andrà avanti, e tu avrai conosciuto solo la metà della verità. Il desiderio di vivere ancora, di avere un altro corpo, di rinascere un'altra volta, sopravviverà. Il giorno in cui arriverai a conoscere l'altra metà della verità, il giorno in cui conoscerai la verità nella sua interezza, vale a dire che la vita non è vita, e la morte non è morte, quel giorno avrai raggiunto il punto di non ritorno. Allora il problema di ritornare non si porrà.
… Il tuo ultimo pensiero in punto di morte è la quintessenza di un'intera vita di settanta, ottant'anni; diventerà il tuo potenziale per la prossima vita, sarà l'eredità che ti porterai appresso nella prossima nascita. Lo puoi chiamare karma, desiderio, samsara, condizionamento o come vuoi: non fa differenza. Meglio sarebbe definirlo un programma incorporato nella tua vita, applicabile nel futuro.
… Nel momento della morte si salva ciò che è importante e si abbandona ciò che è superfluo; quello che non ha valore verrà meno, mentre quello che ha significato verrà impacchettato in un fagotto che ti porterai appresso: diventerà immediatamente la base del tuo viaggio, il tuo programma incorporato. Adesso ti avvierai in un nuovo viaggio, e la tua nascita futura avverrà conformemente a questo programma. Sarà un nuovo viaggio, un nuovo corpo, una nuova sistemazione. E ciò si verifica con assoluta scientificità.
Pertanto, nirvana vuol dire che una persona è arrivata a conoscere che la morte non è veramente morte, né la vita è vita. Una volta comprese entrambe le cose, non resta più alcun programma incorporato. La persona è libera dai programmi, dall'essenziale e dall'inessenziale: è pronta ad andare da sola, come il volo solitario di un uccello. Si lascia alle spalle ogni cosa: i soldi e il tempio. Si libera tanto dei debiti che deve agli altri quanto di quelli che gli altri hanno verso di lei. Si astiene sia dalle buone azioni sia da quelle cattive. In realtà, si astiene da tutto.
… Kabir dice: «Ho indossato il mio mantello con grande amore e l'ho messo da parte così come l'ho trovato, senza sciuparlo affatto». In una situazione del genere non può esservi alcun programma prestabilito per il futuro, perché la persona lascia tutto allo stato verginale: non sceglierà né salverà nulla, ma trascenderà ogni cosa. Senza nutrire un solo desiderio per alcunché, abbandonerà tutto ciò che ha guadagnato in vita. Ecco perché Kabir dice: «O cigno, alzati per il tuo volo solitario». Adesso il cigno, la sua anima, sta partendo da solo, senza nessuno, né amici né nemici, né buone né cattive azioni, né scritture né dottrine: nulla.

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