mercoledì 26 febbraio 2020

SIAMO POLVERE DI STELLE, MA DI ALTRE GALASSIE


Sorprendente, affascinante ipotesi scientifica che ci spalanca lo sguardo sull'universo e suscita in noi inattesi interrogativi. Ecco che cosa scrive Matteo Marini su La Repubblica Scienze.

“Siamo fatti della stessa materia delle stelle”, scriveva l'astronomo e divulgatore scientifico Carl Sagan in Cosmos ben 37 anni fa. Ma ora sappiamo che metà di quella “polvere” proviene da stelle lontane, molto lontane, addirittura fuori dalla nostra galassia. La teoria si deve a un gruppo di astrofisici che cono riusciti a risalire, grazie ai calcoli di un computer, all'origine degli atomi di cui è fatta la Via Lattea. Compreso il nostro Sole, i pianeti e anche noi, gli inquilini di questo granello di materia, adesso siamo ancora più “cittadini dell'Universo”.
Le stelle sono dentro di noi: «L'azoto del nostro Dna, il calcio dei nostri denti, il ferro del nostro  sangue e il carbonio della nostra torta di mele», diceva Sagan. Così come i peli del nostro gatto che poltrisce sul divano, il divano stesso e la carta, o lo schermo, sul quale state leggendo questa storia. I miliardi di miliardi di atomi che li compongono sono materia intergalattica che ha percorso centinaia di migliaia di anni luce e infine si è riunita, compressa dalla sua stessa gravità.
Ma com'è arrivata fino a qui? Grazie ai venti galattici, scatenati dall'esplosione di supernove, stelle massicce giunte alla fine della loro vita. Sono fenomeni dall'immensa energia: le più potenti arrivano a essere anche diverse volte più luminose dell'intera Via Lattea. «Sapevamo già che siamo polvere di stelle - spiega Amedeo Balbi, professore associato al Dipartimento di Fisica dell'Università di Roma Tor Vergata, e divulgatore - cioè di materiali diffusi nell'Universo da queste esplosioni che arricchiscono il mezzo interstellare. Questi venti sono correnti di particelle cariche che, a quanto risulta dallo studio, spargono atomi non solo nelle vicinanze, ma su distanze tanto grandi da arrivare fino alle galassie vicine». Viaggiano per il cosmo a velocità di migliaia di chilometri al secondo. Per formare nuove stelle e nuove galassie.
Ad aiutare i ricercatori è stato un computer che ha simulato l'ambiente intergalattico. Uno scenario virtuale ricreato grazie al progetto Fire (Feedback in realistic environment) della Northwestern University. E i risultati sono stati sorprendenti. Il team internazionale, coordinato da Claude-André Faucher-Giguère, della Northwestern, ha dimostrato che galassie come la Via Lattea (che contano almeno 100 miliardi di stelle) si sono accresciute maggiormente proprio grazie a questo apporto, o furto, “ai danni” delle vicine. Pressoché il 50 per cento della materia che le forma proviene proprio da altri angoli dell'Universo. Nel nostro caso la grande e la piccola nube di Magellano, le più vicine alla nostra ma distanti 160.000 e 200.000 anni luce.
È da questi suoi satelliti che la Via Lattea ha riciclato la maggior parte del materiale con un processo che si ripete dalla nascita del
l'Universo. «Tutto quello che serve è cucinato dentro le stelle: la prima generazione, dopo il Big Bang, aveva a disposizione solo idrogeno ed elio» racconta Balbi «poi le generazioni successive hanno cominciato a produrre elementi più pesanti. E ogni volta che una stella esplode quel materiale viene rimesso in circolazione nelle nebulose, che sono anche la culla di nuove stelle». E da quelle nebulose che “accendono” gli astri siamo nati anche noi, una volta che la materia prima è stata a disposizione. «Succede quando quelle nubi molecolari hanno abbastanza elementi pesanti, polveri e molecole complesse per formare anche i pianeti e poi molecole ancora più complesse che servono agli organismi viventi» conclude Balbi. «Anche se per ora siamo l'unico esempio che conosciamo».


(Nella foto in alto, la nebulosa di Orione)

venerdì 7 febbraio 2020

LA MISTERIOSA E TRAGICA FINE DI LUPO GRIGIO, L'UOMO CHE DIFENDEVA LA SUA COLLINA



Dolore e rabbia. Sono i sentimenti che ho provato leggendo della terribile fine di Mauro Pretto, un uomo di 47 anni che da 18 anni viveva come un eremita, ucciso davanti alla porta della sua casa sui Colli Berici. Un uomo amante della natura,  pacifico e pacifista, indifeso, stroncato da un colpo di fucile sparato da un misterioso killer che nessuno finora è riuscito a individuare. Nelle pagine del Corriere della Sera, Andrea Pasqualetto ha scritto un articolo su questa terribile vicenda che mi ha commosso molto, e che desidero riportare qui. Perché ci fa riascoltare il pesante silenzio di una morte tragica e dimenticata.

Mauro aveva scelto la collina di Gazzo. Viveva nell'ultima casa di una stradina sterrata che serpeggia fra prati e castagni e spunta di colpo dietro una curva, alta e malferma come una vecchia sentinella. Tutto intorno, il dolce saliscendi dei Colli Berici di Zovencedo, in fondo, al di là dei boschi e delle doline, invisibile,Vicenza. Sulla cima della sua collina Mauro ha vissuto solitario per 18 anni, un po' pastore, un po' boscaiolo, un po' falegname. Sognava un gregge di pecore e nel suo periodo d'oro era riuscito anche ad averne una ventina ma durarono poco perché non riusciva a controllarle e i conti non tornavano. Decise così di dedicarsi al bosco, alla collina, che curava come fosse sua, e ai suoi quattro cani, Laica, Elsa, Robi e il vecchio Pedro che avrebbe dovuto badare al gregge. Qualcuno lo chiamava “Lupo grigio” perché questo era il nome da lui usato per comunicare con la ricetrasmittente. Ma per tutti era l'eremita della valle, che lottava contro gli egoismi della modernità per difendere il suo ambiente selvaggio. Una lunga battaglia, la sua, che durò fino alla mattina del 13 maggio 2017, quando fu trovato sull'uscio di casa steso a pancia in su, la camicia macchiata di sangue, gli occhi sbarrati. Accanto a lui solo Pedro che ululava senza sosta dopo aver strappato la catena alla quale Mauro lo legava ogni notte.
Non c'erano dubbi su cosa fosse successo e la pallottola che aveva nel petto lo confermò. Un colpo di fucile sparato da breve distanza da un misterioso killer venuto dal bosco. Mauro Pretto aveva 47 anni ed è morto così, freddato sulla porta di una casa che lui stesso aveva reso abitabile sistemando il rudere che era. Nonostante la solitudine, aveva una compagna. Si chiamava Anna, ha qualche anno in più e come lui non ama la città. Ma, a differenza di Mauro, in città vive e lavora. Fa l'impiegata alle poste di Montecchio Maggiore, terra di capannoni e di grande traffico. Abita in un appartamentino di un anonimo palazzo di periferia. «Prego, benvenuto nella piccola fattoria». Anna Giro vive con una gatta sorda, Desi, un canarino, e Robi, il meticcio di Mauro. «Questo è il mio mondo, esco solo per andare al lavoro e fare la spesa. Da quel giorno tutto è cambiato per me. Non ho più voglia di vedere gente». Ora l'eremita è lei, dice. Natale e Capodanno li ha festeggiati con Robi e Desi. «Preferisco stare con loro che almeno sono affettuosi». Non ci sono dubbi: è molto giù di corda e la causa prima è quella, il delitto. «Mauro era molto importante per me… era unico… un uomo libero e molto semplice, non ho mai conosciuto un uomo più semplice. Forse non esiste nemmeno. Lui difendeva l'ambiente e lo curava senza un tornaconto. E amava gli animali al punto da rinunciare a mangiare per loro. Mauro prima preparava per i cani e poi per sé, se ce n'era. Ecco, hanno ucciso un uomo così… e l'assassino è ancora in libertà».
Già, non l'hanno mai preso. Molti sono stati sospettati ma nessuno è finito nel registro degli indagati delle procura berica. «Obiettivamente abbiamo fatto tutto quello che era possibile», sospira il comandante del reparto operativo dei carabinieri, Alessandro Giuliani, che ha guidato l'inchiesta battendo varie piste. «È una di quelle vicende che mi è rimasta qui e non me ne faccio una ragione». Il giallo, dunque, rimane. I soli che hanno visto il killer non hanno il dono della parola: Pedro, Robi… Gli inquirenti hanno sondato il mondo dei cacciatori, dei boscaioli, dei centauri, categorie umane per le quali Lupo grigio non nutriva grandi simpatie.
«Ti spiego com'era: Mauro cercava di impedire lo sfruttamento indiscriminato della valle», spiega Anna mentre guarda il quadretto della foto che più le piace, dove lui fuma e guarda lontano. «Per esempio: i boscaioli. Diceva, io non sono contrario al taglio della legna ma deve esserci una misura e invece loro tagliano solo per far soldi, per avarizia, e uccidono così il bosco. E quindi litigava con loro. I cacciatori, non ne parliamo… Quelli con le moto che sgommavano dappertutto, altre baruffe». La lista è lunga: «Aveva poi fatto anche la battaglia contro l'apertura di una miniera… Quando aveva le pecore se l'era presa con uno che metteva il fertilizzante…».
Considerava la valle come il giardino di casa. «Tagliava l'erba, scavava le canalette per l'acqua perché la collina non franasse, potava gli alberi… anche di qualche giardino privato e così tirava su 10-20 euro e con quelli comprava la benzina della motosega e qualcosa per i cani… Averne di Mauro.
Si erano conosciuti nel 2008: «Lui stava vivendo un periodo difficile e ogni tanto i miei amici gli portavano su qualcosa di buono da mettere sotto i denti. Ci siamo conosciuti così, mi è piaciuto subito. Ho vissuto anche un periodo in quella casa, ma non ce l'ho fatta. Era troppo dura lassù. Andavo comunque a trovarlo e ci sentivano tutti i giorni». La sera prima del delitto l'aveva chiamata per il solito saluto. «Erano le 20,20. Mi aveva detto che andava a letto perché il giorno dopo doveva svegliarsi presto per portar su delle assi di legno. Doveva fare le cucce per i cani». Si sarebbe fatto aiutare da Davide, il vicino. Vicino si fa per dire visto che abita con Sanja a mezzo bosco da lui.
«Era passato da noi alle 8 di sera per un caffè, sembrava tranquillo», confermò Davide. «Eravamo d'accordo di trovarci la mattina alle 6 per il legno. Il giorno dopo, visto che non arrivava, sono andato su a vedere cos'era successo e l'ho trovato lì, così…». Basta citare Mauro e a Sanja vengono gli occhi lucidi. «Quando avevo perso i capelli per la chemio e lui mi vide piangere è andato a casa e dopo mezz'ora è tornato con i capelli tagliati solo per farmi sorridere…».
Gino Bertese, che qui ha una bella casa, ricordò che «raccoglieva anche i mozziconi di sigaretta e fermava tutte le moto che correvano sullo sterrato, quelli però avevano diritto di correre». Ma la legge di Lupo grigio non era di questa mondo.
«Detestava il sistema, la cosiddetta civiltà, la trovava ipocrita e famelica e per questo se ne stava lassù…», scuote la testa Anna che si alza, apre la credenza e fruga tra mille scatole. «Ho tenuto un sacchettino con una cosa interessante. Eccolo… Vedi questi: sono mozziconi di sigaretta. Li ho trovati davanti alla casa di Mauro dopo il delitto». Mozziconi di Camel. «A parte il fatto che lui le sigarette spente le metteva sempre in tasca perché non voleva inquinare la Terra, ti assicuro che non fumava Camel, solo Ms. L'ha detto ai carabinieri?  «L'ho detto sì, subito, ma non sono mai venuti a prenderli. Li ho comunque tenuti, chissà mai che un giorno servano. Il mio sogno è dargli giustizia e trovare il colpevole. Chiunque sia, sappia che ha ucciso un uomo puro, come si può vivere con questo peso sulla coscienza? Mauro…». Anna si ferma, cerca un respiro per reprimere la commozione.
«…Non apparteneva a questo modo e questo mondo l'ha eliminato…». Dura, durissima.
L'assassino, la brutalità del gesto, la vittima sola, idealista, senza difese. Due estremi che quella notte si sono forse guardati in faccia. Uno aveva il fucile e ha fatto fuoco e tutto è finito. Chi sarà quest'uomo? Chi è il killer dell'eremita? «Difficile… Mi hanno detto per esempio che il giorno dopo il delitto c'era un tipo del posto che voleva suicidarsi e aveva bevuto della candeggina. Mi piacerebbe sapere perché quello voleva suicidarsi. Altri dicono che Mauro avesse baruffato per la legna…». Lupo grigio litigava e lottava per difendere la collina. «Mi manca da morire», sussurra Anna stringendo Robi. «Ci manca da morire, vero piccolo? Mi manca la sua semplicità, la sua purezza. Mi mancano i suoi occhi che guardavano il mondo in un modo diverso. Erano occhi rari, unici».

Già, una bella fiaba con un finale molto triste.

In alto, un'intensa immagine di Mauro Pretto.
Qui sopra, il casale
sui Colli Berici, in provincia di Vicenza,
che Mauro aveva reso abitabile
e nel quale ha vissuto
come un eremita per diciotto anni.