mercoledì 21 novembre 2012

IL PROBLEMA DEI MONACI TIBETANI IMMOLATI? È GIUSTO SUICIDARSI IN QUESTO MODO PER UNA CAUSA PUR COSÌ IMPORTANTE?


In alto, due monaci tibetani a un incontro di preghiera per ricordare
 i loro confratelli immolati. Nella foto sopra, il monastero di Kardze' da cui provenivano
molti dei monaci che si sono sacrificati finora.
Mi scrive Renzo G. da Padova per chiedermi il mio parere sui tanti casi di monaci tibetani che si immolano, che cioè si suicidano dandosi fuoco per protestare contro il rifiuto del governo popolare cinese di concedere l'indipendenza al loro Paese. Devo dire innanzitutto che, se non erro, in Italia si parla pochissimo di questo problema, mentre per esempio la tivù francese, nel corso della trasmissione Envoyé spécial mandata in onda proprio nelle scorse settimane su France 2, lo ha trattato in tutta la sua drammaticità con un bellissimo reportage. Che cosa penso di questo gesto estremo dei monaci tibetani? Che io capisco benissimo e condivido la loro aspirazione alla libertà per il Tibet, naturalmente, come per tutti i popoli dei Paesi sottomessi in qualche modo alla forza straniera, e mi rendo conto che questo è un gesto che con il suo estremismo vuole attirare sul problema l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale e di tutti quei governi ai quali è cara la libertà dei popoli, ma lo trovo anche di una grande violenza contro se stessi, così come lo è anche il digiuno della fame e della sete scelto comunemente per altre forme di protesta in nome spesso della non-violenza e del pacifismo. Mi sembra strano, dunque, che una religione come il buddismo, per la quale ho la massima ammirazione e il massimo rispetto, e che comunemente si ispira al concetto di non-violenza appunto, in realtà contempli il suicidio compiuto in questo modo terribile quasi come una legittima forma di protesta, mentre invece è, ripeto, una forma di violenza estrema, alla stessa stregua dell'omicidio, naturalmente. Credo che si dovrebbero trovare altre forme di protesta, altri modi per far parlare il mondo della questione tibetana. E forse non è facile, lo so.

lunedì 12 novembre 2012

IL FIORE D'AUTUNNO: UN INNO ALLA DIVERSITÀ

Ricevere una mail accorata e per certi versi drammatica come quella di Antonio, della provincia di Messina, è un'eperienza toccante. Almeno per me lo è stata. È un giovane di appena 22 anni che vive una realtà veramente dura, come quella dell'impossibilità di trovare un lavoro in una terra martoriata dalla mafia e per questo votata alla povertà, ma soprattutto quella, intima e di tipo esistenziale, di non riuscire a vivere serenamente di fronte agli altri la propria diversità, ovvero la propria omosessualità. Una condizione che Antonio in cuor suo ha finito con l'accettare superando con fatica e solo in parte i pregiudizi che gli altri, le persone vicine, la società, nutrono al riguardo e che cercano di instillare anche indirettamente in lui, come nelle nuove generazioni, perché si conformino alla cosiddetta normalità. Per anni Antonio ha vissuto un conflitto tra i propri impulsi e questi pregiudizi, che l'hanno portato a sentirsi una persona indegna, sporca, e a voler forse porre fine alla sua giovane vita, pur sentendo dentro di sé sentimenti e impulsi genuini e puliti nei confronti dell'amore e della sua sessualità seppure diversa. Siccome Antonio si domanda se anche per lui prima o poi verrà l'amore e mi ha richiesto un consiglio, un aiuto psicologico e morale, vorrei dirgli che la sua omosessualità, come l'omosessualità in generale, non deve essere più un problema per lui (e auspichiamo tutti anche per la società, finalmente). E che, oltre alla mail privata che gli ho inviato in risposta alla sua, vorrei dedicare proprio a lui, ma anche ai tanti ragazzi in difficoltà per gli stessi motivi, questo passo intitolato Il fiore d'autunno, dedicato proprio alla “diversità” in generale, tratto dallo stupendo libro di Dede Riva* Meditazioni quotidiane - Pensieri di trasformazione, pubblicato molti anni fa da Edizioni Mediterranee (ignoro se ne siano in circolazione delle ristampe, ma forse no, e questo lo rende ancora più prezioso per chi, come me, ne conserva religiosamente una copia un po' ingiallita). Ecco allora il testo relativo, per la precisione, alla meditazione quotidiana del 3 novembre:

«È normale pensare che la natura fiorisca in primavera, ma ci sono anche fiori che sbocciano in autunno ed in inverno.
Sono pochi, per la verità, ma di una bellezza prepotente. Il colore dei loro petali infatti si staglia talmente sui toni smorzati, propri di queste stagioni, da catturare l'attenzione di chi li scorge. È uno shock vero e proprio, un ricordare perentorio a tutto il tuo essere che la Vita, apparentemente ritirata da tutto ciò che ti circonda, continua a fluire silenziosa, con qualche rara – e perciò più preziosa – esplosione, qualche geiser di colori che ti lascia senza fiato per la sua potenza.
Anche se qualche pioggia autunnale appesantisce questi fiori, se ne fa cadere qualche petalo a terra, nulla viene tolto alla loro forza e alla loro bellezza che a questo punto si fa addirittura struggente.
Ricorda, anche se esiste un tempo “canonico” di fioritura, seguito dalla stragrande maggioranza, ogni momento può essere buono anche per pochi altri.
Se vedessi oggi un fiore sbocciare, cercheresti di convincerlo che non è il momento giusto? Gli chiederesti di aspettare? Sarebbe un tentativo inutile, velleitario ed aggressivo.
Puoi fare di meglio per te e per lui: rispettare il suo tempo, osservarlo in tutta la sua bellezza, benedirlo con animo colmo di gratitudine e gioire insieme a lui del suo straordinario, sorprendente aprirsi alla Vita».

* Dede Riva (nella foto in alto) è una nota esperta di Yoga, Scienza dello Spirito e Angelologia, nonché di Psicodinamica. Vive e lavora a Milano. Ha collaborato con importanti periodici e reti televisive, diretto la rivista Psicodinamica e organizzato convegni nazionali e internazionali sui temi cui è interessata.