giovedì 11 febbraio 2021

COME ENTRARE IN CONTATTO CON LA VERA ESSENZA DELLE COSE



La saggezza interiore è solo un'utopia, un luogo comune, qualcosa che vorremmo tanto avere, però semplicemente illudendoci? Se esaminiamo più a fondo la natura (divina) dell'essere umano, possiamo arrivare a una conclusione completamente diversa, a una conferma che nel profondo della nostra coscienza spesso abbiamo davvero le risposte più efficaci ai nostri interrogativi, soprattutto a quelli che riguardano la nostra esistenza, i nostri affetti, le nostre passioni, le nostre scelte più importanti e così via. 
Ce ne parla il grandissimo leader spirituale, attivista per la pace e poeta vietnamita Thic Nhat Hanh (foto in alto) nel suo volumetto Camminando con il Buddha - Zen e felicità, Oscar Mondadori, di cui trascrivo qui un breve passo esplicativo che mi piace condividere con voi. Ecco che cosa dice nel paragrafo 5, intitolato “Percezione e realtà”. 

“La coscienza deposito ci offre un accesso diretto alla realtà, alla vera natura delle cose. È là alla radice, nella coscienza deposito di ognuno di noi, che si trova quella saggezza di fondo che è capace di entrare in contatto diretto con la realtà. La coscienza deposito ha accesso a tutte le informazioni che contiene, alla totalità dei semi che vi si trovano. Spesso, però, quando facciamo esperienza di qualcosa tramite uno dei sensi proviamo sensazioni precondizionate di attaccamento o di avversione in base alle esperienze precedenti, dunque classifichiamo le cose sistemandole nei vari “contenitori” che abbiamo nella coscienza deposito. 
La percezione di una cosa tende a basarsi sulle esperienze precedenti. In passato abbiamo fatto esperienza di questo o di quello: è con quell'esperienza che paragoniamo ciò che incontriamo nel presente, sentendo di riconoscerlo. In altre parole, noi dipingiamo l'informazione del momento dei colori che abbiamo già dentro; il più delle volte, questo ci impedisce di avere accesso diretto alla realtà. 
Nel mare ci sono ostriche che vivono abbastanza in superficie, raggiunte da un po' della luce di cui godiamo anche noi che viviamo fuori dall'acqua. Le ostriche, però, non possono vedere il blu del mare. Noi esseri umani camminiamo sul pianeta: alzando lo sguardo vediamo le costellazioni, le stelle, la luna, il cielo azzurro; abbassando lo sguardo vediamo il mare blu. Ci consideriamo esseri superiori alle ostriche, dunque, abbiamo l'impressione di vedere ogni cosa e sentire ogni cosa. Di fatto, però, anche noi siamo un po' come le ostriche: abbiamo accesso solo a una parte limitata della realtà. 
Gran parte della nostra i capacità di entrare in contatto con la realtà deriva dall'ignoranza di sé, atma avidya.  Non riusciamo a vedere che il “sé” è fatto di elementi di non-sé. Finiamo per farci molti complessi su noi stessi proprio a causa dell'attaccamento all'idea di un “sé” , un “io”. Pensiamo di essere superiori a qualcun altro, o inferiori, o uguali; cadiamo preda dell'amore per noi stessi, di manas. È per questo che la coscienza manas è stata soprannominata “l'amante” o “l'innamorato”: è un innamorato pieno di illusioni sulla persona che ama. Manas funge da base per l'attaccamento. Quell'amore per noi stessi ci rende molto difficile percepire la realtà con accuratezza; pensa a quando hai una cotta per una persona: in realtà non l'ami, ti crei un'immagine di lei e ami quell'immagine. L'oggetto del nostro amore non è “la cosa in sé”, non è svalaksana: è una rappresentazione mentale della realtà, non la realtà in sé. Questo vale quando guardiamo una montagna, Parigi, una stella o un'altra persona: di solito abbiamo a che fare con una rappresentazione, samanya
Manas vive nella sfera dell'illusione. La coscienza mentale e la coscienza sensoriale, proprio come la coscienza deposito, sono in grado di entrare in contatto con la realtà in sé. Occorre un certo allenamento, però, perché la maggior parte di noi ha perduto quella capacità. La buona notizia è che con la pratica della presenza mentale possiamo recuperare la capacità di entrare in contatto con la vera essenza della realtà. Spesso la coscienza sensoriale può entrare in contatto diretto con la realtà: le nostre coscienze visive, uditive, olfattive, gustative e tattili-propriocettive non utilizzano né inferenze né analisi. Questa modalità diretta si chiama pratyaska pramana. Quando guardi una nuvola, non hai bisogno di pensare o ragionare, di usare inferenze o deduzioni: conosci e basta. 
La nostra coscienza mentale è in grado anche di entrare in contatto con la realtà tramite il ragionamento, anumana pramana. La mente può usare il ragionamento discorsivo, l'induzione, la deduzione e l'inferenza. Se si vede del fumo levarsi in lontananza, per inferenza si deduce che laggiù ci sia un fuoco, perché senza fuoco non può esserci fumo. 
La percezione diretta, però, alle volte è fallace: capita di essere sicuri di aver udito una cosa, per esempio
il pianto di un bambino, mentre in realtà è un'altra cosa, il miagolio di un gatto. Sono i nostri preconcetti a esporre la coscienza sensoriale al rischio di essere fuorviata. 

La conoscenza è un ostacolo alla conoscenza

Anche la percezione indiretta tramite ragionamento è spesso scorretta. Ciò che più di frequente ci impedisce di entrare in contatto con la realtà nella sua vera essenza è proprio la nostra stessa conoscenza. Per questo è importantissimo lasciar andare le nostre convinzioni. La conoscenza ostacola la conoscenza. Se il vostro modo di pensare è dogmatico, sarà difficilissimo per voi ricevere nuove intuizioni, concepire nuove teorie e nuove modalità di comprensione del mondo. Il Buddha ha detto: «Considerate i miei insegnamenti una zattera per aiutarvi a raggiungere l'altra riva». Quel che vi occorre, dunque, è una zattera per attraversare il fiume, per arrivare sull'altra riva; non vi serve una zattera da adorare, da caricarvi in spalla e da portare in giro, fieri di possedere la verità. 
Il Buddha ha detto che «perfino il Dharma va buttato via, per non parlare del non-Dharma». A volte si è spinto oltre, dicendo che il proprio insegnamento è come un serpente: è pericoloso, se non si sa come prenderlo si finisce per farsi mordere”.