venerdì 26 luglio 2013

L'IRA? UN SENTIMENTO DA NON REPRIMERE MA DA OSSERVARE MENTRE NASCE, CRESCE E SVANISCE

Ha scritto Marco Aurelio* nei suoi Ricordi o Pensieri, uno scritto di meditazioni e di pensieri, appunto, rivolti “a se stesso”, che ebbe modo di scrivere in greco negli intervalli delle numerose guerre combattute:

Gli scatti d'ira e i dispiaceri che ne seguono producono in noi danni di gran lunga più gravi delle stesse cose per cui ci adiriamo e ci affliggiamo.
Busto marmoreo che raffigura
l'imperatore romano
Marco Aurelio. 

Ed ecco come commenta questo aforisma Claudio Lamparelli** nel suo volumetto L'arte della serenità, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori:  

La calma è il primo dei requisiti necessari a realizzare se stessi, ad essere se stessi. «Chi è in preda all'ira è come un pazzo» scrive Seneca***, e, in effetti, anche nel linguaggio comune, si dice che è “fuori di sé”. Non è più lui che agisce, ma un altro individuo che emerge dalle profondità della preistoria.
L'ira è insomma una forma di regressione, almeno quando si configura come una perdita di controllo.
«Nessun'altra passione è costata così cara all'umanità» dice ancora Seneca, che si riferisce evidentemente agli spropositi, alle liti, alle guerre e ai disastri di ogni genere che ne sono venuti.
Per evitare di cadere nella sua trappola, sono stati escogitati diversi stratagemmi. Consiglia per esempio Pitagora****: «Quando sei in preda all'ira, non fare e non dire niente».
Le tecniche di meditazione insegnano ad osservarne la nascita nel momento stesso in cui si innesca: bisogna notare la causa che la scatena e la reazione interna.
Quando ci si abitua ad esercitare la consapevolezza su questo impulso – e sugli analoghi moti interni (odio, rabbia, collera, ecc.) –, si crea già una prima distanza e si dà l'avvio ad un processo di trasformazione. Si può anche marcare mentalmente: “Questa è ira, questa è rabbia, questo è odio…”
L'osservazione distaccata di queste potenti ondate emotive, negative o positive, costituisce il fondamento della “conoscenza di sé”. Chi arriva a contemplarne il sorgere, la crescita, la diminuzione e lo svanire, si trova di fronte allo stesso spettacolo dello scorrere di una giornata, con la sua alba, il suo mezzogiorno, il suo pomeriggio e il suo tramonto.
Ogni fenomeno naturale, esterno o interno, segue questa evoluzione.
Una simile comtemplazione può diventare una vera e propria “cura di sé”. L'ira va evitata – come scrive Seneca – «non solo per ottenere la moderazione, ma anche per acquisire la salute». Infatti, giungere a controllare ciò che Publilio Siro***** definisce «il più grande dei nemici» significa acquisire notevoli benefici sul piano della salute fisica e su quello della salute psicologica, due condizioni strettamente collegate.
Una forte ira sfocia nel furore, il quale provoca sia una tempesta ormonale che danneggia il corpo, sia uno squilibrio psicologico che per un certo tempo oscura il nostro stato di benessere…
Lo scopo della meditazione non è tanto quello di reprimere un sentimento che può anche essere giustificato (per esempio quando si reagisce a un'ingiustizia), quanto quello di evitarne i danni e di utilizzarne nello stesso tempo la carica emotiva.
Il saggio non è un uomo che non prova sentimenti (e risentimenti), bensì un individuo che non si fa travolgere e guidare dalle opposte emozioni, riconoscendo che il comportamento giusto non può che scaturire da una mente calma e limpida. Quale giudice potrebbe essere equo se si facesse ispirare dall'odio o dall'amore?
Dichiara Seneca: «La maggior prova di saggezza è non cedere all'ira».

* Marco Aurelio (Roma, 121 d. C. – Vindobona [odierna Vienna] o Sirmio, 180 d. C., imperatore romano dal 161 al 180). Fu impegnato in numerose guerre per stroncare rivolte (in Britannia, Germania, Armenia, Mesopotamia occidentale) e arginare le invasioni dei Barbari, specialmente Marcomanni e Quadi. Singolare figura di imperatore che portò, come si suol dire, la filosofia sul trono, assolse con scrupolo e successo i gravosi compiti di un'incessante guerra difensiva e nella politica interna sperimentò l'attuazione di principi informati a grande umanità.

** Claudio Lamparelli: scrittore, traduttore e studioso di storia delle religioni, ha scritto numerosi libri che in particolare hanno come argomento la meditazione.

*** Seneca: scrittore e filosofo latino (Cordova, 5-4 a. C. – Roma, 65 d. C.).

**** Pitagora: filosofo greco (Samo, 571-570 a. C. – Metaponto, 497-496 a. C.).

***** Publilio Siro: mimografo latino (prima metà del I secolo a. C.).  
 

mercoledì 24 luglio 2013

NEL ROMANZO “L'AMORE BLU” DI CATHERINE SPAAK, LA PROTAGONISTA SARAH SEMBRA INCARNARE LE STRAORDINARIE ESPERIENZE SPIRITUALI VISSUTE DALL'ATTRICE-SCRITTRICE NEL CORSO DELLA SUA VITA

Una bellissima immagine dell'attrice-cantante-
scrittrice francese, naturalizzata
italiana, Catherine Spaak.  
Un bellissimo, ricco, profondo romanzo, scritto da un'attrice-cantante-scrittrice di origine francese ma naturalizzata italiana, che è famosa anche per la sua lotta a sostegno dei diritti della donna, ma soprattutto per il suo interesse per il buddhismo, la meditazione vipassana e tutto ciò che ruota attorno al mondo della ricerca spirituale e della consapevolezza. Il suo L'amore blu, edito da Mondadori, riassume un po' tutte le sue esperienze in questo ambito e ci dà l'idea della profondità e dell'impegno della sua ricerca interiore. È insomma la cifra altissima, esemplare di una vicenda personale complessa e straordinaria di cui è protagonista Sarah, personaggio nel quale certamente Catherine si rispecchia sotto tanti aspetti.
“L'incontro tra Davide e Sarah è l'unione di due anime gemelle, destinate a incontrarsi per completarsi l'una nell'altra – recita la presentazione che si legge nella copertina del libro.  –  Sarah, fino a quel momento persa, paralizzata da una “cosa” che la divora dall'interno, con un passato carico di ombre spaventose, trova finalmente l'uomo che la prende per mano in un percorso di consapevolezza interiore… Per Sarah, Davide è il maestro, l'amante, l'amico, il figlio che le era stato portato via appena nato, è l'uomo dai piedi piumati che incontra in sogno. Davide è il mistero più bello, che Sarah riuscirà a svelare solo alla fine del suo viaggio perché «la risposta giusta si trova nella zona del cuore ed è lì che parla la sapienza»”.
Ed ecco allora che cosa dice Sarah in un passo bellissimo del romanzo, in cui riecheggiano, tra gli altri, anche gli insegnamenti di quel grande maestro spirituale che è Eckart Tolle, autore del bellissimo Il potere di adesso e di altri libri illuminanti.

«Molti cambiamenti sono avvenuti in me da quando vivo con Davide. Guardo la mia vita con occhi nuovi. Ho compreso che la “cosa” non era una mia esclusività. La “cosa” appartiene – in minore o maggiore intensità – a tutti gli esseri umani. La “cosa” è la nostra immensa solitudine, il mal di vivere, il terrore della morte e l'oscura, insormontabile separazione dal tutto. Quando è volata via Lilli ero io che battevo le ali, quando recido un fiore sono dentro il suo stelo e avverto la fine, quando amo Davide divento l'amore che è in lui. Se sono malinconia oppure arrabbiata non cerco spiegazioni; individuo la parte del mio corpo dove l'emozione si annida e mi fa male e la accolgo, immergendomi totalmente in essa: divento quell'emozione. E senza che io lo voglia, la mia malinconia, la mia rabbia, il mio dolore scompaiono.
La copertina del romanzo L'amore
blu
che Catherine Spaak ha
pubblicato recentemente per la Casa
editrice Arnoldo Mondadori.
Spesso faccio il gioco del testimone. Appena sento che sto per reagire a qualcosa che ritengo spiacevole, mi porto mentalmente un passo indietro rispetto alla situazione che sto vivendo e chiamo in causa il testimone che mi vive dentro. Lui non è coinvolto, osserva semplicemente quello che mi accade. Eppure fa parte di me, sta dentro di me. Sono anche lui. O probabilmente sono lui. Quella presenza neutrale ma potente mi calma. Mi fa tornare in me. Chi stava per scattare, reagire? Il mio io. Il mio ego. Non certo me. Ero offesa, indignata, in collera, depressa, umiliata, delusa? No. Ero soltanto identificata con le mie emozioni, totalmente assorbita nell'illusione. È lui, il mio stupido, ottuso, insensato egocentrismo a farmi credere che sono schiava sua. La prova? Appena lo smaschero con la presenza del testimone silenzioso, ecco che si ribella e mi sbeffeggia.
“Credi forse ai miracoli? Sei così ingenua da pensare che puoi fare a meno di me? Senza di me non sei nessuno, senza di me sei priva di identità, di sostanza, di realtà. E chi sarebbe questo testimone? Ti sta imbrogliando, perché sei stupida, ignorante. Solo io posso dirigere la tua vita, solo io conto! Soltanto con la mia presenza sei in grado di sopravvivere e non farti schiacciare dagli altri. Sei in pericolo senza di me, una foglia al vento. Attacca, ribellati, calpesta; fatti rispettare e non rispettare nessuno. Solo così puoi farti strada! Coscienza? E di che cosa parli? Sciocchezza inventata dalle religioni per controllarti meglio e distruggerti, non lo capisci? Così va il mondo! Guarda la Chiesa, la politica, la gente: pedofili, faccendieri, corruttori e corrotti. Vuoi finire sotto i ponti con le tue belle azioni? Vuoi lasciare agli sciacalli il tuo bel boccone? Nessuno avrà cura di te se non pensi da sola a te stessa, ti calpesteranno come un fungo, approfitteranno della tua debolezza, ti disprezzeranno, ti metteranno alla gogna. Sai cos'è la gogna? Perdere potere, fallire, scomparire! E che figura ci faccio? Tu esisti perché io esisto. È da un po' di tempo che mi dai sui nervi!”
“Il testimone ti sta osservando” rispondo al mio ego. “Vedi, da quando ho scoperto la sua presenza sono cambiata. Intanto la 'cosa' è sparita e non è poco. Poi sono in pace, a mio agio, con me stessa e con gli altri. Riuscire a controllare la mia mente agitata da tutte le scimmie che si lanciano da un ramo all'altro nel mio cervello è molto piacevole. Non interpretare le cose ma vederle per quello che sono mi rende la vita più facile, più leggera. Non essere perennemente concentrata sul mio benessere o i miei profitti mi porta davvero tanti regali. Non lo avrei mai immaginato. Lasciar andare recriminazioni, lamentele, giudizi, aspettative, rivalse mi ha alleggerita di un peso enorme che non sapevo di portare sulle spalle. Non voglio offenderti ma penso di non aver nessun bisogno dei tuoi consigli. Esistevi perché ti nutrivo della mia ansia e delle mie paure; un'energia distruttiva e debilitante. Sei terribilmente limitato e prigioniero di te stesso. Ti ricordi Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry? No? Pazienza. Quello che voglio dirti è semplice: liberati di me! Di te! Affidati e fidati della vita, del suo fluire incessante, delle sue continue trasformazioni: miracoli e meraviglie. Non aggrapparti alle cose, non trattenere nulla, non cercare di controllare tutto e tutti, sii libero. Un'ultima cosa. Non mi hai mai amata, ti sei intromesso nella mia vita per limitarmi, bloccare la mia creatività, ridicolizzare le mie passioni, boicottare i miei amori, legittimare i miei dubbi, invalidare il mio coraggio. Mi hai divorata per anni bloccando la mia evoluzione, succhiando le mie energie in cambio di veleni. E sai perché hai fatto tutto questo? Abbassi gli occhi, vero? Perché eri tu ad aver paura, a dubitare. Eri tu a non saper amare. Tu ad aver bisogno di me. Ora, caro ego, ti saluto e per favore non andare a far danni da un'altra parte.”
“Tornerò, tornerò! Quando meno te lo aspetti. Non credere che sia così semplice liberarsi di me” mi ha risposto.
Da tempo non mi chiedo come sarà domani, cosa avverrà della mia vita. Penso raramente al passato. Mi sembra di aver chiuso tutti i conti rimasti in sospeso con il perdono a me stessa e a chi mi ha ferita. Oggi vivo senza timore nel presente di ogni giorno prendendo il tempo necessario, senza affanno, per svolgere le mie attività e stare con me stessa. Davide e io meditiamo assieme la sera dopo che il pulmino del centro recupero si porta via i ragazzi. Mi ha insegnato a respirare, a lasciar andare i pensieri disturbanti e a godermi gli spazi “vuoti” che con la pratica costante sono diventati sempre più lunghi e frequenti fra un pensiero e quello successivo. A volte mi guida con la sua voce calma per itinerari color indaco improvvisati nel cosmo, nell'ametista profondo dei mari. Mi ha iniziata pratiche di grande potenza.
Devo a lui l'aver creato il mio santuario, luogo che ho posto in una foresta fitta di alberi giganteschi e di migliaia di fiori polposi profumatissimi. Vicino a una jacaranda centenaria scorre un ruscello limpidissimo frequentato da libellule, farfalle, uccelli tropicali dai colori dell'arcobaleno. In lontananza lo sciabordio delle onde che si frangono sulla sabbia rosa e più in là le dune plissettate e immense a nascondere l'imponente cancello di ferro nero che si staglia solitario sullo sfondo azzurro. Accanto, Leo, il maestoso leone fulvo, che seduto come le sfingi egizie fa la guardia all'infinito.
È lì, nel mio santuario, che ho conosciuto i miei genitori. Seduta sotto il fogliame lucente, nella pace, nella luce, chiamai mia madre per nome: Marie. Apparve una ragazza con i capelli arruffati e le gote chiare punteggiate da lentiggini. “Finalmente” mi disse, con una voce che non era quella di un'adolescente ma quella di una donna. “Abbiamo tante cose da dirci”, e mi ha sorriso. Si è seduta accanto a me e ha preso a raccontarmi della sua infanzia, triste e solitaria, nella casa di sua madre, di mia nonna Léontine, e di suo padre, che vide così poco da non averne ricordi, morto in guerra. Poi mi ha parlato della “cosa” che lei non era mai riuscita a comprendere né a superare. Parlava piano, dolcemente, ma prima di udire le sue parole sapevo già cosa avrebbe detto. Tutto appariva chiaro, evidente. Si riallacciava tra noi il filo perduto nel tempo. Provavo un'infinita tenerezza per lei.
“Perché sei morta, mamma? Perché siete morti, tu e papà?”
“Lo sai. Te lo ha spiegato anche Davide.”
“Ma allora è tutto vero?”
“Certo. È vero quello che la tua consapevolezza vede, è vero quello che l'amore sa prima della tua ragione.”
“Qual era il messaggio, perché questa scelta?”
“Per l'evoluzione spirituale; nostra, tua e di Davide.”
“Ma lo sapevate da vivi?”
“No. Lo abbiamo riconosciuto dopo. Lo sapevamo prima.”
“Sto facendo qualcosa di sbagliato, mamma?”
“No. Ti stai preparando, semplicemente.”
Mi ha abbracciato, ma non c'era nessuna consistenza nelle sue braccia.»

lunedì 8 luglio 2013

COME CAPIRE SE LA NOSTRA VITA VA NELLA DIREZIONE GIUSTA? DAL SENSO DI BEATITUDINE CHE POSSIAMO PROVARE OPPURE NO

Paola è una simpatica, brillante donna di mezza età che, però, da qualche anno vive una crisi interiore. Durante un colloquio in cui mi chiedeva consiglio e aiuto, mi ha confessato di tendere sempre più spesso, ultimamente, a fare un bilancio della propria vita e di accorgersi che questo per molti aspetti non è affatto positivo. Il suo matrimonio è fallito dopo ben vent'anni di vita in comune con il marito, il quale d'improvviso si è detto perplesso  e deluso per la differenza dei loro caratteri (!). Ora Paola e il marito continuano a vivere insieme, ma non da marito e moglie. Tra loro c'è freddezza, ostilità malcelata, risentimento. La coppia vive anche un periodo di difficoltà economiche dovute alla crisi finanziaria mondiale. In più Paola si accorge che il suo corpo mostra qualche segno di decadimento e nella sua mente si affaccia sempre più spesso il timore, paralizzante, della fine. Non si può certo dire che sia vecchia, ma lei avverte il veloce passare del tempo come un pericolo minaccioso. Forse è la classica crisi che molte persone vivono nel passaggio verso l'età più matura, forse si tratta di un po' di depressione che un medico competente potrebbe aiutarla a superare… in ogni caso, le ho fatto leggere un passo di uno dei tanti, bellissimi libri di Osho (Ricominciare da sé, Mondadori editore), ritratto nelle foto in alto, passo che credo faccia al caso suo e che riporto qui perché tutti coloro che, come Paola, vivono un momento di profonda crisi interiore possano auspicabilmente trarne un prezioso insegnamento. Eccolo:

Più a lungo vive una persona più dovrebbe aumentare la sua gioia, invece la vostra gioia diminuisce… È sbagliata la direzione della vostra vita, ed è sbagliata la vostra energia. Dovreste essere costantemente vigili, costantemente alla ricerca e dovreste avere stampati nella mente in modo chiaro i criteri di valutazione. Se vi sono ben chiari quei criteri, e se vedete che state andando nella direzione sbagliata, nessuno all'infuori di voi stessi vi impedisce di cambiare e di andare nella direzione giusta.
Una sera, due monaci rientrarono nella loro capanna. Erano stati in viaggio quattro mesi ma ora, poiché iniziava la stagione delle piogge, erano tornati alla loro capanna. Giunti nei pressi, il monaco più giovane, che camminava davanti, improvvisamente si sentì invadere dalla collera e dalla tristezza: i venti di un uragano avevano scoperchiato metà della capanna; solo metà del tetto era rimasto in piedi. Tornavano dopo quattro mesi, con la speranza di potersi riposare, al riparo dalle piogge, ma ora sarebbe stato difficile farlo. Metà della capanna era crollata e metà del tetto era stato spazzato via.
Il monaco giovane esplose, e disse al suo anziano compagno: «È troppo! Ci sono cose che creano in me il dubbio sull'esistenza di Dio: i peccatori possiedono palazzi in città e a loro non è accaduto niente; invece è caduta in rovina la capanna di due poveretti come noi, che passano il giorno e la notte pregando. Dubito che Dio esista! Le nostre preghiere servono, oppure stiamo sbagliando? Forse è meglio peccare, visto che i palazzi dei peccatori sono indenni e la nostra capanna, di due persone che pregano, è stata spazzata via dalla tempesta».
Il giovane monaco era pieno di collera e di biasimo, sentiva che le sue preghiere erano inutili. Ma il suo anziano compagno congiunse le mani, elevandole al cielo, mentre lacrime di gioia rigavano le sue guance.
Il giovane monaco era sorpreso e gli chiese: «Che cosa fai?».
Il monaco anziano spiegò: «Ringrazio Dio, perché chissà che cosa avrebbe potuto fare il vento? Avrebbe potuto portarsi via l'intera capanna, ma Dio deve averlo ostacolato in qualche modo, per salvare così almeno metà della nostra capanna. Dio si occupa anche di noi, povera gente, perciò dovremmo ringraziarlo. Ha udito le nostre preghiere; le nostre preghiere non sono state inutili, altrimenti l'uragano si sarebbe potuto portare via l'intero tetto della capanna».
Quella notte entrambi i monaci dormirono ma, come potete immaginare dormirono in modo diverso. Il giovane, che era pieno di collera e di rabbia e pensava che le sue preghiere fossero inutili, continuò a rivoltarsi tutta la notte perché nella sua mente scorrazzavano incubi e preoccupazioni. Era roso dall'ansia. Il cielo era coperto di nuvole, tra poco sarebbe arrivata la pioggia… Una metà del tetto era volata via con il vento, quindi i due monaci potevano vedere il cielo. L'indomani sarebbero iniziate le piogge, che cosa sarebbe accaduto?
Il monaco anziano dormì un sonno profondo. Chi potrebbe dormire tanto pacificamente, se non colui che si sente colmo di gratitudine e di riconoscenza? Il mattino successivo si alzò e cominciò a danzare e a cantare. Il suo canto diceva: «Oh Signore, noi non sapevamo che potesse esserci tanta beatitudine in una capanna crollata! Se l'avessimo saputo prima, non avremmo neppure atteso l'opera dei tuoi venti: avremmo abbattuto noi stessi metà del tetto. Non avevo mai dormito un sonno tanto beato. Poiché una metà del tetto non c'è più, ogni volta che aprivo gli occhi nella notte potevo vedere le stelle e le nubi che si radunavano nel tuo cielo. E ora che stanno per iniziare le piogge, sarà ancora più bello perché, mancando metà del tetto, potrò udire più chiaramente la musica delle tue gocce di pioggia. Siamo stati stolti! Abbiamo trascorso tante stagioni delle piogge, al riparo nella capanna. Non avevamo idea di quale gioia può nascere dal vivere a cielo aperto, esposti al vento e alla pioggia. Se l'avessimo compreso, non avremmo atteso l'opera dei tuoi venti; avremmo abbattuto noi stessi metà del tetto».
Il giovane monaco esclamò: «Che cosa odono le mie orecchie? Che cosa sono tutte queste assurdità? Che cos'è questa follia? Che cosa stai dicendo?».
Il monaco anziano rispose: «Ho osservato le cose in profondità: la mia esperienza mi dice che qualsiasi cosa ci renda più felici è la giusta direzione per noi nella vita e qualsiasi cosa ci fa soffrire è invece la direzione sbagliata. Io ho ringraziato Dio e in me è aumentata la beatitudine. Tu sei andato in collera con Dio e in te è aumentata l'angoscia. La notte scorsa tu eri irrequieto e io ho dormito pacificamente. Ora io sono in grado di cantare e in te brucia la collera. Io ho compreso in modo chiarissimo che nella vita la direzione che ci porta a essere più beati è la direzione giusta, quindi ho focalizzato tutta la mia consapevolezza in questa direzione. Non so se Dio esiste oppure no. Non so neppure se qualcuno ascolta le nostre preghiere; ma la prova valida per me è che io sono felice e danzo e tu invece piangi, sei in collera e sei preoccupato. La mia beatitudine prova che il mio modo di vivere è giusto e la tua angoscia prova che il tuo modo di vivere è sbagliato».
… Il criterio è la beatitudine. Assomiglia al criterio in uso per analizzare l'oro, lo si strofina su una pietra di paragone: l'orefice scarta tutto ciò che non risulta puro e valorizza solo l'oro puro. Continua a esaminarti ogni giorno, usando il criterio della beatitudine: osserva ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Puoi gettare via tutto ciò che è sbagliato e qualsiasi cosa giusta si accumulerà in te piano piano, come un tesoro».

Ed ecco un altro passo sull'argomento, tratto sempre dallo stesso libro di Osho:
Dovresti avere nel cuore questi sentimenti: «Poiché oggi ho il cibo a mia disposizione, mi sento grato. Mi è stato concesso un altro giorno di vita, mi sento profondamente grato. Questa mattina mi sono svegliato di nuovo alla vita, oggi il Sole mi ha illuminato ancora, questa sera posso ancora ammirare la Luna… ho vissuto un altro giorno! Non era necessario che io vivessi un altro giorno, oggi avrei potuto essere già nella tomba, ma mi è stato concesso un altro giorno di vita. Non l'ho guadagnato, mi è stato donato!». Quanto meno per questi motivi, dovresti avere un senso di gratitudine per tutto ciò. Dovresti avere un senso di gratitudine verso la vita intera, verso tutto il mondo, verso tutto l'universo, verso la natura e verso il divino: «Ho ricevuto in dono un giorno in più da vivere. Ancora una volta ho ricevuto il cibo per nutrirmi. Ho ricevuto un altro giorno per vedere il Sole e i fiori che sbocciano. Oggi sono ancora vivo!».
Rabindranath Tagore due giorni prima di morire esclamò: «Signore, come ti sono grato! Dio, come potrò esprimerti la mia gratitudine? Tu mi hai dato questa vita, quando non avevo alcun merito per riceverla. Mi hai dato il respiro, quando non avevo alcun diritto di respirare. Mi hai fatto vivere l'esperienza della bellezza e della beatitudine, che non avevo affatto guadagnato. Ti sono oltremodo riconoscente. Sono sopraffatto dalla tua grazia. E se in questa vita che tu mi hai donato posso aver ricevuto dolore, sofferenza e preoccupazioni, la colpa deve essere stata mia, perché la vita che tu mi hai dato è colma di beatitudine.
La colpa deve essere stata mia, perciò non ti chiedo di liberarmi dalla vita. Se mi ritieni degno, fammi tornare a vivere ancora e di nuovo. La vita che tu mi hai dato è colma di beatitudine e io ti sono immensamente grato per avermela donata».
Questo sentimento, questo sentimento di gratitudine dovrebbe essere presente in tutti gli aspetti della vostra vita, in particolare nei confronti del cibo. Solo così il cibo che ingerite diventa la giusta dieta.