mercoledì 25 luglio 2018

VALE LA PENA DI SACRIFICARE LA VITA PER IL SUCCESSO?


Genio. No, predatore. Ha salvato la Fiat dal fallimento. Ma non il rapporto con i lavoratori. Adesso che Sergio Marchionne, l'amministratore delegato della FCA, non c'è più, i sostenitori e i detrattori si sono scatenati lanciando i propri giudizi sulla persona, sul suo operato. Parole sprecate, come è sprecato il tempo nell'ascoltare questi inutili discorsi nelle lunghe trasmissioni televisive sull'argomento che grondano retorica. È praticamente impossibile stabilire la verità, ammesso che serva. Solo lui sa perché ha agito in un certo modo e che cosa l'ha spinto a determinate decisioni piuttosto che ad altre. Importanti per il futuro dell'azienda che era stato chiamato ad amministrare e per quello dei suoi lavoratori, certo; dai risultati straordinari in termini economici per sé, per l'azienda e per i tanti operai, ma anche a livello di successo, di immagine pubblica, tutti obiettivi che vengono esaltati da chi adesso ne fa un simbolo positivo del neo-capitalismo, è vero. Ma se si fa un ragionamento più profondo, che investe la sua vita personale, adesso che è mancato a un'età ancora relativamente giovane viene quasi spontaneo chiedersi: ma a quale scopo ha fatto tutto questo? E a che cosa gli è servito? Che cosa ne ha acquistato la sua vita personale? Adesso leggiamo che metteva la sveglia alle 3,30 della notte, che fumava anche 7 pacchetti di sigarette al giorno, che trascorreva gran parte dei suoi giorni in aereo, tra una trasvolata e l'altra, sempre in viaggio fra Torino e Detroit, le due sedi della FCA. Se questo è normale… Evidentemente per lui lo era, visti gli alti obiettivi che si prefiggeva, a costo di una violenza estrema verso se stesso e la propria vita. È vero, era un grande manager, un uomo di cultura (aveva tre lauree), ma questo solo non fa di un uomo un grande uomo, se poi lo utilizza per autodistruggersi. Tutto nel suo comportamento fa intuire che fosse ossessionato dall'ansia di riuscire nella sua grande impresa. Ma se pensi al successo, sotto sotto pensi anche alla possibilità del  fallimento e hai paura. Il successo ti porta nel futuro, ti colloca in un gioco di avidità, in una proiezione dell'ego, nell'ambizione. E se le responsabilità sono enormi, la mente, per non andare in scacco, mette in atto tutto ciò che può per anestetizzare l'ansia, come fumare tutte quelle sigarette, pessima scelta per il proprio organismo. Ecco una vita che non è stata vissuta, celebrata, assaporata momento dopo momento, fino in fondo, all'insegna della semplicità e della spontaneità, della quiete interiore, ma che è finita letteralmente in fumo. Prima del tempo.

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