venerdì 5 aprile 2013

LA PREGHIERA DI SAN FRANCESCO, LA SUA VITA, IL SUO MESSAGGIO COSÌ PROFONDAMENTE CRISTIANO



«Signore, fammi strumento della tua pace.
Dove c'è odio, fa' ch'io semini amore.
Dove c'è offesa, perdono;
Dove c'è dubbio, fede;
Dove c'è disperazione, speranza;
Dove c'è tenebra, luce;
Dove c'è tristezza, gioia:

O divino Signore, fa' ch'io non debba a lungo cercare
Per essere consolato come per consolare,
Per essere capito come per capire;
Per essere amato come per amare.
Perché è nel dare che riceviamo;
È perdonando che veniamo perdonati;
È nel morire a se stessi che si rinasce alla vita eterna.


–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––


“Il Cantico delle Creature”, conosciuto anche come “Il cantico di Frate sole e Sorella Luna” è la prima poesia scritta in italiano (anzi, in“volgare”, lingua dal suono crudo, aspro e un po' rozzo all'apparenza, che si parlava sul versante orientale del Tevere e della quale ancora oggi si possono avvertire alcune sonorità nelle campagne umbre). Francesco d’Assisi la compose nel 1226.

Si tratta di una lode a Dio, alla vita e alla natura che viene vista in tutta la sua bellezza e complessità. Al testo originale segue una versione in italiano moderno.
Cantico delle Creature
«Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate».
In italiano moderno:
«Altissimo, Onnipotente Buon Signore, tue sono la lode, la gloria, l’onore ed ogni benedizione.
A te solo Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di pronunciare il tuo nome.
Tu sia lodato, mio Signore, insieme a tutte le creature specialmente il fratello sole, il quale è la luce del giorno, e tu attraverso di lui ci illumini.
Ed esso è bello e raggiante con un grande splendore: simboleggia te, Altissimo.
Tu sia lodato, o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai formate, chiare preziose e belle.
Tu sia lodato, mio Signore, per fratello vento, e per l’aria e per il cielo; quello nuvoloso e quello sereno e ogni tempo
tramite il quale dai sostentamento alle creature.
Tu sia lodato, mio Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile e umile, preziosa e pura.
Tu sia lodato, mio Signore, per fratello fuoco, attraverso il quale illumini la notte. È bello, giocondo, robusto e forte.
Tu sia lodato, mio Signore, per nostra sorella madre terra, la quale ci dà nutrimento, ci mantiene e produce diversi frutti con fiori colorati ed erba.
Tu sia lodato, mio Signore, per quelli che perdonano in nome del tuo amore e sopportano malattie e sofferenze.
Beati quelli che le sopporteranno in pace, perché saranno incoronati.
Tu sia lodato, mio Signore, per la nostra morte corporale, dalla quale nessun uomo vivente può scappare:
guai a quelli che moriranno mentre sono in situazione di peccato mortale.
Beati quelli che la troveranno mentre stanno rispettando le tue volontà,
perché la seconda morte non farà loro male.
Lodate e benedicete il mio Signore, ringraziatelo e servitelo con grande umiltà».
_______________________________________________________________

«Come fosse un “prologo in cielo”, il Cantico delle Creature di Francesco d'Assisi, Laudes Creaturarum, apre la vicenda storica della poesia italiana» dice Enzo Siciliano nel primo volume [da Francesco d'Assisi a Ludovico Ariosto] della sua opera La Letteratura italiana, edito da Arnoldo Mondadori. «La leggenda, aggiunge Siciliano, ha raccolto notizia di quando il Santo compose il Cantico sul finire d'una notte di spasimi, trascorsa a San Fabiano presso Rieti. Una torma di topi famelici lo aveva assediato, e il corpo – la cronica malattia agli occhi, e il male, l'idropisia, che di lì a qualche mese l'avrebbe portato alla tomba – non era stato da meno dal tormentarlo. 
Era – sembra – la primavera del 1226: Francesco d'Assisi sarebbe morto in autunno. Quei tormenti dettero il via a una preghiera; e la preghiera si risolse nel ritmo dei versetti proprio per la tensione interamente umana che animava frate Francesco. Non che solo il corpo parlasse per lui, ma la sublimazione e l'estasi delle fede, in lui, non avevano altra esistenza che attraverso il corpo: in esso irresistibilmente rinascevano e si comprovavano. Il corpo era dolore, pena, e insieme letizia spirituale. 
La morte, in tutto questo. sarebbe stata non nemica, e neanche l'amica consolatrice e assolvitrice del dolore, ma creatura fra le creature, perciò stesso sorella.
Figlio di un mercante che aveva traffici con la Francia, Pietro di Bernardone, e di una donna che alcuni sostengono essere francese, trascorse una giovinezza agiata – “princeps iuventutis”, fu detto. Se la vita lieta dell'attiva città in cui nacque [tra il 1181 e il 1182] – Assisi aveva rivendicato, come altri comuni italiani, la propria autonomia contro il servaggio imperiale [nel 1174 era stata assediata e conquistata da Federico I Barbarossa il quale aveva dato l'investitura della città al duca Corrado di Lutzen, detto anche Corrado di Urslingen, che il popolo di Assisi, stanco delle sue prepotenze, aveva scacciato dopo essersi  a lui ribellato] – lo coinvolse del tutto; a tale coinvolgimento è da attribuire la prima crisi che patì il suo animo di ventenne. 
Era il 1202. Assisi aveva preso le armi contro Perugia; ne ebbe la peggio. Francesco andò in battaglia e fu preso prigioniero con altri: la prigionia dovette distruggere alcune certezze in quel ragazzo brillante e scapigliato…
Dopo un anno tornò in città, si ammalò gravemente. Alla guarigione, è la vita stessa che lo disgusta: se ne vorrebbe allontanare. Di nuovo, la guerra lo incanta. Parte alla volta della Puglia, seguendo forse Gualtieri di Brienne in lotta contro il papa Innocenzo III. A Spoleto, durante il viaggio, si ammala ancora: il corpo fragile non rispondeva al desiderio d'azione che lo esaltava. La mente gli si affolla di visioni: – sente che si deve fare “soldato di Cristo”. 
Torna ad Assisi, e, mentre prega a San Damiano, una voce pare suggerirgli di riedificare la chiesa che sta per cadere. Si dà da fare a raccogliere denaro per il restauro della piccola cappella. Lascia la casa paterna, cerca luoghi solitari: lo giudicano pazzo. 
Pietro di Bernardone se ne sdegna: cita il figlio davanti ai consoli della città. Francesco si rifiuta di comparire: non riconosce, così afferma, altra autorità su sé che quella di Dio. Il padre lo conduce dinanzi al vescovo. Qui, il figlio rinuncia a tutto quanto è suo; persino si spoglia degli abiti che veste, per affermare che si sente morto a qualsiasi legame familiare. 
Il 24 febbraio 1209 ascolta messa nella cappella della Porziuncola. La lettura del Vangelo di Matteo, là dove è detto «non tenete alla cintura né oro né argento né moneta, né bisacce per il viaggio né doppia veste o sandali o bastone», lo entusiasma. Grida «È questo che voglio, è questo che ho sempre cercato e desidero con tutto il cuore di praticare!»…
È come se Francesco avesse raccolto le tante voci disparate levatesi contro la simonia [commercio di beni spirituali o di beni temporali a essi strettamente collegati] ecclesiastica, contro il sudicio che infangava lo stesso trono di Pietro, – e il significato di Cristo ne era stravolto. L'Europa cristiana era percorsa da parole e gesti d'eresia per questo. I seguaci di Gioachino da Fiore, i Catari, i Patarini, i Valdesi avevano ricevuto condanne cocenti, irreversibili, e persecuzioni. Chi gridava, chi si indignava era spesso animato da sentimenti di vendetta… Bisognava rigenerare il senso della vita, il senso profondo della parola evangelica: restituire a Cristo la sua immagine, antica e sempre nuova…
Francesco riuscì a far rivivere il Cristo del Vangelo: non il Cristo lontano, chiuso nel cielo anche se paziente, della tradizione monastica. Ma il Cristo dell'anima, quello che ci rende la natura “sorella” e rende noi creature fra le creature. 
I monaci penitenti avevano tenuto per nemico il corpo. Francesco riscopre nel dolore del corpo l'immagine divina. Dio è anche dolore, patimento e resurrezione: porta la croce, – e, se l'uomo porta la croce come il Cristo, è simile al Cristo: ne è fratello e figlio. 
Ma al senso ultimo della rivoluzione francescana ciò non basta: Francesco sposa la povertà: – rifiuta ogni tipo di potere; e, se il potere ha da essere, lo lascia ad altri, alla “forma” della Chiesa di Roma. La Chiesa di Roma sappia che la pratica cristiana è anche pratica di povertà: – solo così si potrà riscoprire il fratello uomo e la sorella natura in pura allegrezza, in beatitudine realmente celeste. 
L'interezza del Cristo rivive in Francesco e nei suoi fratelli. E ciò fu subito capito dal mondo intorno a loro. Tutta la vita, nella loro preghiera, diventava non oggetto di qualsivoglia rifiuto ma motivo di lode, – persino la morte…
La malattia degli occhi, l'idropisia: – quando sentì vicina la “sorella morte”, Francesco chiese d'essere portato alla Porziuncola, dove aveva avuto la decisiva chiamata al Cristo. Vi morì il 4 ottobre 1226».  

Perché Francesco d'Assisi? Ho ritenuto importante ripercorrere seppure brevemente la vita e le idee (in cui si riconoscono echi delle verità universali appartenenti a tutte le religioni) del Santo di Assisi in un'epoca in cui tutto, ma proprio tutto, è mercificato e in cui però un papa illuminato ha deciso di chiamarsi Francesco, in omaggio alla sua figura e al suo messaggio di povertà e fratellanza, che deve essere valido anche per la Chiesa e i suoi esponenti.    






Nessun commento:

Posta un commento