mercoledì 26 marzo 2014

LA FINE VITA SECONDO TAGORE: INIZIA UNA NUOVA FASE DI CRESCITA SPIRITUALE. L'ANIMA LASCIA L'UNIVERSO E RAGGIUNGE L'INFINITO


Mi scrive Lorenzo dalla provincia di Udine: «A sessant'anni, sono entrato ormai nella fase “decrescente” della vita e d'improvviso mi ritrovo alle prese con angosce che un tempo non mi sarei mai aspettato di provare. A dire il vero è già da una decina d'anni che ha fatto capolino nella mie mente il timore per la fine cui tutti siamo destinati, per quel limite che tutti noi ci ritroviamo davanti e al quale non potremo sfuggire. Tutto è cominciato con la morte di mio padre, un vero choc per me, anche perché lui era stato sempre un mito per me, soprattutto da bambino e ragazzo. Un uomo granitico, forte, invincibile nel vero senso della parola, e la sua triste fine mi ha obbligato a riflettere sulla transitorietà e caducità dell'esistenza. Mi sembra che tutto si sia svolto con grande velocità, che la mia vita sia scorsa rapida come un sogno, e mi ritrovo a pensare con ansia al futuro, alla vecchiaia, al tramonto che sento ormai imminenti. Non so se sono depresso e devo curarmi o se, invece, tutto ciò è benefico dal punto di vista spirituale. Ho intensificato le mie letture yoga, zen, buddhismo ecc. per riuscire a penetrare nel mistero della fine e, se qualche volta ne trovo sollievo, in altri casi, soprattutto la notte, quando mi ritrovo solo con me stesso, l'angoscia torna a galla e mi lascia atterrito…»
Ho un po' riassunto la lettera di Lorenzo mettendone comunque in luce i concetti principali. Può darsi che sia un po' depresso: chissà, magari sono un po' calati i livelli di testosterone (perché non sottoporsi a un semplice esame del sangue per escluderlo o confermarlo?), o forse il trauma per la morte del padre non è stato ancora completamente elaborato e anzi, forse, Lorenzo ha ancora qualche “conto in sospeso” con questa figura “mitica”, oppure si tratta semplicemente di un passaggio importante, fondamentale ed inevitabile nella sua evoluzione su questa Terra. Forse è il suo “Sé” che lo spinge a certe riflessioni e a trovare dentro di sé grandi verità, anche a costo di lottare, di soffrire, di provare angoscia. È un po' come quando bisogna decidersi a uscire dall'adolescenza per diventare adulti: in questo caso Lorenzo forse deve uscire dall'adolescenza spirituale per aprirsi a nuove verità, alla possibilità di abbracciare nuove realtà fondamentali, a “illuminarsi”. Il suo “io”, però, resiste e cerca degli appigli cui aggrapparsi per evitare di evolvere, forse di soccombere a favore del Sé. È una fase delicata, ma credo che nonostante tutto Lorenzo sia sulla buona strada. Ha solo bisogno di fare ancora passi decisivi sulla via della consapevolezza, dell'apertura e dell'abbandono di quell'angusto, miope mondo che è proprio dell'io: al di là c'è l'infinito, la gioia, la pace, la fine della sofferenza e delle angosce. Certo, non è facile sapere se e quando ce la farà, però sono sicuro che le letture dei testi cui ha accennato possano sostenerlo in questo processo evolutivo. La meditazione e la pratica della “mindfulness” o meditazione della consapevolezza gli potranno dare un grande aiuto. Auguro dunque a Lorenzo, come a tutti noi, di riuscire a intravedere la luce in fondo al tunnel, di farcela ad abbandonare i legami effimeri, solo apparentemente indissolubili, per compiere un balzo verso la realizzazione. Si tratta di rischiare, di spezzare definitivamente, seppure gradualmente, quel velo di ignoranza che ci impedisce di vedere che viviamo nell'illusione, nell'ignoranza di com'è la realtà vera, eterna, immutabile. Quel velo che nasconde ai nostri stessi occhi la nostra vera natura, la nostra vera origine. Mi piace citare qui un passo tratto dallo scritto The Religion dello scrittore e poeta indiano Rabindranath Tagore (chi non lo conosce?), risalente al lontano 1931. Tagore (nell'immagine in alto) accenna tra l'altro a una mancanza di educazione sull'atteggiamento di distacco che tutti noi dovremmo coltivare riguardo all'esistenza in generale, e in particolare alla fine naturale, con tutto ciò che questa comporta. È uno scritto davvero illuminante e spero possa dare forza a Lorenzo e a tutti quelli che vivono la sua stessa angoscia:

«… Così come il giorno ha punti di svolta in cui esistono un sorgere e un calare, così nell'uomo esiste un sorgere e un calare dei suoi poteri fisici. Riconoscendo tutto questo, l'India diede un significato conseguente alla diverse fasi della vita, dall'inizio alla fine.
Il primo stadio è il “brahmacharya”, un periodo di disciplina e di educazione nel quale l'essere umano entrava in contatto con le Leggi Universali; seguiva il “garhastya” in cui si sperimentava il mondo, e in esso le Leggi dell'Amore e del Lavoro; quindi il “vanaprasthya” in cui si iniziavano a sciogliere tutti i legami e infine il “pravrajya” in cui si attendeva la liberazione suprema, oltre la morte.
Noi oggi siamo arrivati a vedere la vita come in conflitto perenne con la morte – ritenuta un nemico indesiderato, infido, e non la naturale evoluzione della vita –, ma si tratta di una lotta senza speranza, che ci vede sempre e comunque sconfitti. Eppure, allorché il momento in cui la gioventù ci lascia, facciamo di tutto per trattenerla. Quando il fervore della passione si affievolisce, vorremmo ravvivarla con l'ausilio di un qualsiasi elemento. Quando i nostri organi di senso si affievoliscono, li spingiamo a non perdere terreno, usando tutte le nostre forze. E perfino allorché la nostra presa si è allentata, siamo riluttanti a lasciar andare i nostri averi.
Nessuno viene educato a riconoscere l'inevitabile come un fenomeno naturale, per cui non siamo capaci di rinunciare con gioia e dignità a ciò che comunque se ne deve andare, pertanto ecco che la morte viene a “portarci via la vita”.
La verità si presenta come un conquistatore solo perché abbiamo perso l'arte di riceverla e di accoglierla come un ospite benvoluto…
Il fiore deve lasciar sfiorire i suoi petali se vuol giungere alla maturazione dei frutti, e i frutti devono cadere dall'albero se si vuole che l'albero rinasca. Il bambino lascia il rifugio nel ventre per giungere a una crescita ulteriore, sia del corpo che della mente, che è poi il senso del suo esistere; come fase successiva, l'anima deve uscire dallo stadio di autoraccoglimento in questo “io” psico-somatico e giungere a piena fioritura, grazie alla varietà di relazioni con parenti e vicini, unita ai quali essa forma un corpo più vasto; in seguito sopraggiunge il declino del corpo e l'indebolimento del desiderio. Arricchita dalle esperienze del mondo, l'anima ora lascia la vita ristretta in cui è esistita e si orienta verso la vita universale, alla quale dedica la saggezza accumulata, ed entra così in relazione con la Vita Eterna, in modo tale che, allorché alla fine il corpo giunge al suo completo declino, l'anima veda questo distacco come qualcosa di semplice e privo di rimpianti, e lo viva come un ingresso nell'Infinito.
Dal corpo individuale alla comunità umana, e da questa all'universo, e dall'universo all'Infinito, questa è la normale evoluzione dell'anima.
I saggi hindu, pertanto, tenendo ben presente questa evoluzione possibie, non si limitavano nella prima fase della vita a dare una semplice educazione, fondata solo sull'apprendimento, ma instillavano uno stile di vita, fondato sull'addestramento all'intuizione, capace di percepire il Divino direttamente. In questo modo, l'allievo entrava nella vita con una determinazione attenta ed era in grado di conservare il fuoco della propria attenzione sul fine della vita.
Seguiva la vita nella comunità, nel mondo. Manu stesso dichiara: «Non è possibile una reale disciplina, restando lontano dal mondo, la disciplina più efficace si consegue adempiendo la vita del mondo con saggezza». Il che vuol dire che la saggezza non perviene alla propria piena realizzazione se non si vive la vita; e una disciplina separata dalla saggezza non è vera disciplina, ma un semplice seguire i costumi e le abitudini, cose che dissimulano solo stupidità.
Pertanto, dopo aver speso nella vita del mondo il secondo periodo della vita, allorché il declino dei poteri fisici comincia a farsi sentire, occorre cogliere questo passaggio come un ammonimento che esso sta avvicinandosi alla sua fine naturale. Non si tratta di qualcosa che va preso come un segno di sconfitta, ma va vissuto con gioia in quanto è un segno di maturità verso un'ulteriore realizzazione.
D'altro canto, così come un bambino, allorché lascia il ventre della madre, deve restarle ancora vicino per un po' – deve restarle attaccato, malgrado il sopravvenuto distacco – finché non si è adattato alla sua nuova libertà; allo stesso modo, nel terzo stadio della vita, sebbene l'uomo sia ormai distaccato dal mondo e dai suoi equilibri, vi resta attaccato ancora per un po' di tempo, mentre si prepara per lo stadio finale che culminerà nella libertà assoluta.
Egli dona al mondo la sua saggezza, e ancora ne accetta il sostegno; ma non si tratta di uno scambio passionale, come nella fase precedente, poiché in lui è insorto un nuovo senso di distacco.
E alla fine, viene un giorno in cui perfino quelle relazioni libere da attaccamenti giungono a conclusione, e l'anima emancipata si lascia alle spalle ogni legame e vincolo e si confronta con l'Assoluto…
Questa è una lezione di civiltà ancora aperta, poiché tale quadruplice sviluppo della vita in passato aiutava l'hindu a sintonizzarsi con la grande armonia dell'universo, e non lasciava spazio alla follia dei desideri o a un individualismo spasmodico, né permetteva loro di operare la loro potenza disgregante e distruttrice.
L'essere umano veniva aiutato a contenerne le funzioni, che venivano sempre armonizzate in sintonia con una sfera più elevata e con una più piena realizzazione: l'immersione nell'Assoluto, nel Sé Supremo».
                                                                                Rabindranath Tagore

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